Benvenuti
nel Paese dell'assurdo, dove tutto il potere spetta ai confini: non solo
quelli politico-geografici, ma anche i confini mentali, psicologici,
emotivi. Spesso, i più difficili da varcare. Mona, ragazza drusa, vive nel
Golan occupato dagli israeliani. Però sono imminenti le sue nozze con un
attore di sit-com siriano, che neppure conosce: una volta passata la
frontiera, la giovane non potrà più tornare indietro. Se la situazione è,
a priori, drammatica, Eran Riklis
ha scelto di rappresentare una commedia
con venature d'assurdo. Come in una buona commedia all'italiana del
passato, i primi venti minuti servono a installare i personaggi
rendendoceli famigliari: Mona dallo sguardo triste, il padre filosiriano
in libertà vigilata, la sorella emancipata, il fratello ripudiato, quello
che si è messo "in affari". Il piccolo universo famigliare rappresenta in
via emblematica lo stato di follia quotidiana in cui vivono i cittadini
dei due Paesi in guerra, Israele e Siria. A tratti, il teatrino
dell'assurdo di
La sposa siriana
richiama il cinema balcanico di Kusturica e di Tanovic. Mettendo in scena
il nonsense degli uomini, delle frontiere, della burocrazia, Riklis
rappresenta shock culturali e crisi individuali d'identità senza cadere
nelle trappole del film a tesi. Nell'impianto corale, ben padroneggiato,
spiccano i personaggi femminili: donne capaci di mostrarsi irriducibili
guerriere dinanzi alla demenza della guerra, che lo sguardo del cineasta
segue con rispetto e ammirazione.
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Una
giovane donna che convola a nozze: che c'è di strano? In teoria nulla, ma
dipende. Per esempio, Mona, «La sposa siriana» del film di Riklis, ha
qualche problema. Vive infatti in un villaggio sulle alture del Golan, in
una zona occupata dagli israeliani a ridosso della frontiera con la Siria,
e appartiene alla minoranza drusa considerata di nazionalità
«indeterminata» da entrambi. In quanto attivista filosiriano, il padre
della ragazza è agli arresti domiciliari; e il suo futuro sposo, che
neppure conosce perché il matrimonio è stato combinato tramite foto, è un
viso noto della TV di Damasco. Il che significa che una volta oltrepassata
la frontiera, Mona non potrà più rientrare. Non ci vuole molto a capire
che in una situazione così le cose possono diventare parecchio complicate,
se non addirittura drammatiche. Tuttavia Riklis (classe 1954), che vive a
Tel Aviv e ha firmato numerosi spot e più di una pellicola campione di
incasso in Israele, conosce l'arte di divertire e ha scelto una riuscita
chiave di commedia all'italiana, orchestrando con la sceneggiatrice
palestinese Suha Arraf un pittoresco affresco corale. Per le nozze tornano
al borgo natio i fratelli emigrati di Mona: uno da Mosca con una moglie
russa poco gradita, l'altro dall'Europa ed è un mezzo imbroglione.
Interpretata da attori abili a svariare fra la lacrima e il sorriso, la
storia è raccontata con freschezza e semplicità, però mettendo bene a
fuoco il tema del «potere dei confini» non solo fisici, bensì anche
«mentali ed emotivi». La stupidità kafkiana delle congiunte burocrazie non
è l'unico male: nella piccola comunità drusa pregiudizi, tradizioni
costrittive, chiusura al diverso creano contrasti e problemi. A farne le
spese sono soprattutto le donne e non è un caso che proprio a loro sia
affidato nel bel finale il messaggio di libertà e tolleranza.
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