Il sole  (Solnze)
Aleksandr Sokurov - Russia/Italia/Francia 2004 - 1h 50'

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro )

     Dopo Hitler e Lenin, col potente Hirohito visto nella sconfitta post bellica mentre tratta con un disponibile McArthur, Sokurov film successivo in archivio chiude la sua fantastica trilogia sugli individui cosmico storici, come diceva Hegel (forse ci sarà anche Faust). Vede il 120° imperatore della divina dinastia come un venerato manichino che rinuncia alla propria aureola e al sole deludendo, in data 1 gennaio '46, il popolo pronto al martirio. E si rivela un essere umano triste, paradossale, umoristico e paranoico, volto al dettaglio e al privato, dopo aver vissuto il mondo in prima persona. Nel silenzio-penombra del bunker Sokurov organizza la ieratica, disperata recita in un film claustrofobico, di forma sconvolgente e mai disgiunta da un preciso discorso sui riti pubblici e privati, su caos e metodo, sulla misteriosa psicologia di un «idiota» dostoevskijano, un bambino indifeso nel profondo, non a caso paragonato al clown Charlot.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Dopo averci introdotto agli ultimi giorni di Hitler (Moloch) e di Lenin (Taurus, inedito in Italia), Aleksandr Sokurov ci guida a conoscere quelli dell'imperatore Hirohito. Ultimi giorni non da uomo, ma da divinità; perché Hirohito muore come dio per risorgere come uomo. Il secondo è molto più potente del primo: rinunciando pubblicamente allo status divino attribuito ai sovrani nipponici, l'uomo nuovo riuscì a risparmiare le vite di migliaia di soldati, disarmandoli e ponendo fine al conflitto mondiale. L'opposto di quanto fece Hitler, che mandò al massacro i resti del suo esercito a guerra ormai perduta.
Per intuire quanto la decisione fosse difficile, basterà ricordare che
Il sole stenta a uscire in Giappone, causa le minacce a distributori ed esercenti considerati complici dell'infrazione di un tabù (ed è oggetto di minacce di morte l'attore Issey Ogata, per aver osato impersonare l'imperatore).
Se il film è un capolavoro, ciò dipende dal modo unico con cui il regista russo mette in scena eventi tanto grandi. Con la sua cinepresa entriamo nell'intimità del piccolo grande uomo, che agli occupanti americani fa venire in mente Charlot: un gentleman minuto, appassionato di idrobiologia, collezionista d'immagini delle star di Hollywood, afflitto da tic nervosi, vestito e svestito dalla servitù ma anche straordinariamente coraggioso, consapevole e generoso. Il più atipico dei "tiranni", assai meno posseduto dal proprio ego di qualsiasi politico odierno.
Il film consta di un numero limitato di scene, dall'appello per la cessazione delle ostilità ai colloqui tra Hirohito e il generale MacArthur, comandante delle forze alleate in Giappone; fino al ricongiungimento, pudicamente affettuoso, con l'imperatrice.
Occorre sottolineare che semplicità, in Sokurov, non è sinonimo di facilità. Al contrario. Chi nel cinema cerca intrattenimento e distrazione potrebbe trovarsi spiazzato davanti alle immagini in penombra, al ritmo piano, alle scelte anti-spettacolari. O invece potrebbe lasciarsi conquistare da un cinema così diverso da quello corrente, meditato e prezioso, inaspettato eppure necessario.

da Film Tv (Bruno Fornara)

     Aleksandr Sokurov ha completato la trilogia dei dittatori Hitler era Moloch (1999), nome che per gli antichi fenici designava il sacrificio rituale dei bambini. Uno sfinito Lenin era Taurus (2000). Adesso arriva nelle sale Il Sole, dedicato all’imperatore giapponese Hirohito, 124esimo discendente della dea del sole Amaterasu. Hitler muore nel bunker della Berlino distrutta. Lenin muore nel suo letto, Hirohito annuncia il 15 agosto del 1945 la resa del Giappone dopo Hiroshima. Per la prima volta fa sentire la sua voce, per radio, per dichiarare finita la guerra. Il Giappone imperiale scende a patti con il generale McArthur. Sokurov è attratto dai personaggi che hanno esercitato il potere con il terrore, le stragi, il sangue e le guerre: anche dentro una crepuscolare e fantasmatica luce di celeste distanza, come il regista immagina sia accaduto con Hirohito. Sokurov è affascinato dall’aspetto quotidiano e banale del potere, dalla vita che Hitler, Lenin e l’imperatore conducono nelle loro stanze, in una intimità che ne rivela l’incerta natura, le debolezze e la piccolezza. Cosa si dicevano Hitler ed Eva Braun nella villa fortilizio di Berchtesgaden, di cosa chiacchieravano con Bormann e Goebbels mentre i camini di Auschwitz filmavano senza sosta. Com’è il potere nella sua veste familiare, quando Eva Braun può prendere a calci il suo piccolo dittatore. Cosa si dicevano, nel 1922, il moribondo e impotente Lenin e il rampante e sorridente Stalin. Cosa pensava Lenin nella sua lunga agonia, circondato da infermieri e spie. Sokurov è stregato dall’altra faccia delle cose. Dalla faccia nascosta della grande storia, come dall’altra faccia di ogni esistenza celata dall’opacità di un volto. Guarda dietro le cose, si interroga sulla storia del suo mondo, russo e sovietico, cerca rifugio nell’elegia, nell’incanto di un paesaggio nebbioso. Si immagina lo splendore rifulgente del potere e la sua marcia cancrena.
Nato in Siberia, vicino a Irkutsk nel 1951, ha diretto dal 1978 a oggi una quindicina di film di finzione e una trentina di lavori di vario genere, documentari ed “elegie”. Cineasta affascinato dalla leggerezza di ciò che è effimero e dalla pesantezza di ciò che è potente, sperimenta tecniche nuove, sa fondere immagini di repertorio con altre di finzione, ama la vecchia Russia, per la quale prova compassione e rimpianto, si abbandona alla commozione quando traccia i ritratti parentali di
Madre e figlio (1997) e di
Padre e figlio (2003). È stato Andrej Tarkovskij ad aiutare il giovane Sokurov in difficoltà con le autorità sovietiche che non volevano saperne di lasciar circolare il suo primo film, La voce solitaria dell’uomo, pronto nel 1978, uscito soltanto nel 1987. Formalismo, manierismo, intellettualismo, le solite accuse. Stupide. Dopo la scomparsa di Tarkovskij, è Sokurov a continuare quel percorso di scavo e di preservazione di tutto quello che ci viene alla mente quando pensiamo la parola Russia. Canti, salmodie ed elegie nella spettrale Elegia sovietica (1989), nell’intensa Elegia moscovita (1989), nella lirica Elegia semplice (1990), con la lunga sequenza del presidente lituano Landsbergis che suona il piano, nel vuoto della storia. Documentari commoventi come quello sull’inaugurazione del monumento a Dostoevskij, a San Pietroburgo. Viaggi nell’arte e nella storia come in Arca russa (2002), itinerario senza stacchi dentro il museo dell’Hermitage, tra personaggi che emergono dal passato e un ballo alla corte dello zar che è sontuosa rievocazione, nostalgica meditazione e addio definitivo a un mondo inghiottito dalle nebbie del tempo. E testimonianze amorevoli di affetto verso altri artisti, come il documentario che registra, senza commenti, un’esecuzione del Requiem di Mozart (2004). Sokurov è astratto e realista, lirico e documentaristico, si volta nostalgicamente indietro per rimanere ben dentro la tradizione ed è già tecnologicamente avanti (Scorsese l’ha definito «un pioniere nelle tecnologie»). Ci ridà la sanguinaria pesantezza della storia, il rumore del tempo, l’elegiaca dolcezza di un attimo. Ci ricorda che «l’arte non è mai vecchia o nuova, è semplicemente eterna».

TORRESINO - gennaio 2006