La
scelta di Barbara
(Barbara)
Christian Petzold
- Germania
2012
- 1h 45' |
|
Orso d'argento per la miglior regia |
Orso
d'Argento a Berlino 2012, il bravo Christian Petzold (Jerichow)
torna alla Ddr, ma ne cambia i connotati cinematografici recenti: non più
la simulazione di
Goodbye, Lenin! non
più il grigiore de
Le vite degli altri,
ma l'intimo eppur condivisibile dramma di una donna sospesa tra diffidenza
e fiducia, verità e bugie, controllori e controllati. Regia misurata ed
empatica, focus sulla dialettica relazionale e le geometrie politiche,
La scelta di Barbara
è un piccolo film dalla grande missione: archeologia psicosociale, per
disseppellire il particolare storico (la Ddr) e trovare l'universale
umano. Un thriller dell'anima: da vedere. |
Federico Pontiggia - Il
Fatto Quotidiano |
La scelta di Barbara
rispetto a tutti i suoi film precedenti è forse il film in cui il regista
tedesco più concede alla narratività, e in qualche modo al pubblico,
ammorbidendo la struttura gelida dei suoi mélo contemporanei in una regia
misurata sugli spazi, le sfumature cromatiche, gli sguardi, i gesti spesso
trattenuti o millimetrati nel loro relazionarsi all'ambiente. In questa
tensione prende vita la Storia, e soprattutto l'idea di un cinema di
resistenza che è quella del personaggio alla brutalità della situazione,
dell'attrice (una sorprendente Nina Hoss, icona del regista) a un racconto
che può in ogni istante trasformarsi in un oggetto banale, di una memoria
storica liberata dal «grigiore» cromatico dello stereotipo sull'est per
declinare l'immagine totalitaria diversamente. La sua Ddr somiglia più
alle atmosfere di un film di spionaggio, o a un thriller in cui non ci
sono assassini o misteri da svelare, ma progressivamente si viene
catturati dal clima di oppressione, di ambiguità e di reciproco sospetto (Petzold
cita Hawks di
Acque del sud) nel
quale l'individuo perde i limiti della sua singolarità. Dove anche fare
l'amore sembra impossibile, se non clandestinamente, appartati in un bosco
o negli hotel di lusso in cui tutto è concesso perché si trasforma in
economia. Ma il suo non è un film sulla Ddr nello stile di
Le vite degli altri,
Petzold non traccia il ritratto di una nazione oppressa a cui contrapporre
la libertà dall'altra parte del muro. Al contrario la proiezione di
libertà ritorna dentro il Muro, è sempre parte di quella dichiarazione di
resistenza, del corpo a corpo di chi resta e nel fuoricampo continua la
sua battaglia senza vendere i propri sogni e se stesso alle chimere
dell'ovest, a quel richiamo che una decina di anni dopo ingloberà l'est
spazzando via ogni sua memoria. Petzold conduce con sapienza le tensioni,
il suo movimento di regia sublime dispiega ogni possibile controcanto,
rende narrazione i suoni, i rumori, i bagliori di luce, impossibile
sfuggire a questa trama. La logica del controllo diviene visibile anche
nella alterità dei sentimenti, dell'amore. Siamo in un'estate tedesca,
potremmo essere ovunque oggi, in un segmento del controllo globale, nella
lotta tra chi governa e chi resiste inventando ogni giorno ineffabili
forme di opposizione. |
Cristina Piccino - Il
Manifesto
|
...Prosciugato
ed ellittico è lo stile di racconto di Christian Petzold che, senza
calcare la mano, sceglie di suggerire l'orrore mortuario della dittatura
attraverso i suoi riflessi nella vita quotidiana, restando incollato
all'eroina - un'interiorizzata Nina Hoss premiata con l'Orso d'argento -
sia durante gli snervati vagabondaggi campestri, sia quando il viso immoto
ne tradisce i segreti turbamenti
|
Alessandra Levantesi Kezich - La
Stampa |
Non è passato
molto tempo da quando si parlò di rinascita del cinema tedesco, grazie a
film come Goodbye Lenin! e
Le vite degli altri. Le
promesse sono state mantenute solo in parte. Come in questo film di
Petzold, Orso d'argento a Berlino, dove torna il clima di oppressione e
sospetto reciproco che inquinavano la Germania dell'Est. Petzold
costruisce accuratamente le situazioni, studia le inquadrature, si
permette la citazione colta (la pittura di Rembrandt)… |
Roberto Nepoti - La
Repubblica |
promo |
Germania dell'Est, estate 1980. Barbara, è una dottoressa
trasferita per motivi disciplinari in un piccolo ospedale lontano
da tutto, in una piccola città di provincia. Nel frattempo il suo
compagno Jörg, impiegato per il commercio con l'estero presso la
Mannesmann, sta organizzando la loro fuga nella Germania
occidentale. A Barbara non importa nulla di ciò che la circonda,
né dei pazienti o dei colleghi, il suo lavoro e la sua vita
attuale non hanno alcun senso. Niente la tiene più in quel posto.
Niente a parte Andre, il suo capo, che porterà scompiglio
nell'esistenza di Barbara facendole perdere il controllo di se
stessa, dell'amore e della sua vita... Dramma di una donna sospesa
tra diffidenza e fiducia, verità e bugie, controllori e
controllati. Petzold costruisce accuratamente le situazioni,
studia le inquadrature, si permette la citazione colta (la pittura
di Rembrandt) in uno stile prosciugato ed ellittico che, senza
calcare la mano, sceglie di suggerire l'orrore mortuario della
dittatura attraverso i suoi riflessi nella vita quotidiana. Siamo
in un'estate tedesca, potremmo essere ovunque oggi, in un segmento
del controllo globale, nella lotta tra chi governa e chi resiste
inventando ogni giorno ineffabili forme di opposizione. |
cinélite
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BARBARIGO:
giugno-agosto
2013
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