I quadri non
sono inquadrature, nonostante la radice comune delle parole, e la storia
dei pittori, artefici di immagini, è per il cinema un problema mai
risolto. La biografia dell'artista tormentato e torturato e i processi
creativi si presentano come una tela bianca sulla quale per un cineasta é
difficile rappresentare materiali, immaginare simmetrie, impastare i
colori. Uno dei migliori attori americani, Ed Harris
, per dieci anni ha
fatto congetture sul soggetto del suo film d'esordio come regista: Jackson
Pollock, un maestro dell'astrattismo. Il compendio, la monografia
divulgativa, la fotocopia cinematografica di una galleria d'arte sono le
scorciatoie delle pellicole sui pittori, maledetti o celebri. Harris si
impossessa del fantasma e della psicologia comportamentale di Pollock, ne
mette in scena il lavoro e la vita; i rapporti con artisti e mecenati; la
musica che lo ha influenzato e le tensioni con la madre. In questa
rispettosa e sincera dichiarazione d'amore per Pollock il tono e la
struttura sono calibrati, corretti e Harris espone una genialità cagliata
in macchie, linee torte e meravigliosi sgocciolamenti.
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Per fare un film
sulla vita di Jackson Pollock, a Ed Harris ci sono voluti dieci anni.
Forse dovevano essere di più, forse di meno: nel primo caso, ulteriori
meditazioni gli avrebbero consigliato di evitare gli stereotipi
inesorabili del "biopic" d'artista; nel secondo ci avrebbe dato un film
più diretto, più immediato di questa biografia "maledetta" che s'intona
ben poco con l'anticonvenzionale artista americano. Così com'è, Pollock
racconta il grande pittore nel modo che tutti si aspettano: il carattere
impetuoso e la profonda fragilità, l'alcolismo e i furori, la paura della
vita e la sublimazione nella creazione artistica, l'insopprimibile
tendenza all'autodistruzione. Una parte importante è riservata ai suoi non
facili rapporti con le donne: dalla moglie Lee Krasner, paziente al punto
da sacrificare per amore di Jackson il proprio talento personale, alla
pigmaliona Peggy Guggenheim, che ne comprese per prima l'enorme talento.
Per spiegare ai suoi studenti la natura della sua "action painting", il
critico d'arte Francesco Arcangeli diceva che Pollock era un James Dean
elevato all'ennesima potenza. E Harris (arrivato al limite di studiare
pittura, per realizzare le scene in cui l'autore di "Pali azzurri" mette i
colori sulla tela) lo rappresenta, e lo interpreta, un po' a quel modo: lo
mostra in crisi creativa, poi lo fa avventare sulla tela ricorrendo
all'immarcescibile metodo dell'Actor's Studio, tutto genio e sregolatezza… |