Forse
la vita non è quella che avremmo voluto, ma il meglio della nostra
gioventù resta, indelebile e incisivo. Non è facile liquidare in poche
righe il tema portante del maxi-film di
Marco Tullio Giordana
(sei
ore pensate per la televisione, insabbiate nei palinsesti RAI, arrivate
infine sugli schermi cinematografici in virtù del premio a Cannes),
ma ciò che resta impresso, “indelebile e incisivo”, è il flusso narrativo
di magmatica complessità psicologica, di intenso afflato sentimentale,
di circostanziata storicità socio-politica.
Pubblico e privato si compenetrano con naturalezza in
La
meglio gioventù,
la fonte poetica del titolo (Pasolini) si rigenera in un intrigante
melodramma familiare (Fassbinder). L’originalità della sceneggiatura
sta anche nel peso drammaturgico affidato alla psichiatria (titolo
alternativo “la meglio psichiatria”?) che il film “osa” proporre come
chiave di lettura di un passaggio generazionale tormentato come quello
dagli anni ’60 a oggi: il bisogno di ordine che porta al nichilismo,
l’accettazione dell'incompiutezza e della casualità come via all’armonia esistenziale.
Si
parte dal ’66 quando Nicola
Carati (Luigi Lo Cascio), giovane studente di medicina supera
brillantemente un esame e
si accinge al mitico viaggio verso il nord, col fratello
Matteo (Alessio
Boni) e gli amici Carlo
(Fabrizio Giufini) e
Berto. Ma la comitiva si sfalda
prima ancora della partenza. Matteo e Nicola decidono di prendersi
cura di Giorgia
(Jasmine Trinca), una giovane dalla psiche disturbata, che Matteo
ha conosciuto facendo volontariato in ospedale: quando questi scopre
la brutalità dell’elettrochoc, la rapisce, ma il peregrinare con lei
dei due fratelli non porta a nulla. Giorgia viene “ripresa” dalle
istituzioni; Matteo, non più in animo di viaggiare, si arruola in
polizia mentre Nicola, partito alfine da solo, arriva in Svezia, trova
lavoro in una falegnameria, scopre l’esperienza di un vivere diverso,
libero e alternativo. Quando però, alla televisione, vede le immagini
dell’Arno che sommerge Firenze, torna subito in Italia…
È la struttura di
La meglio gioventù:
il pubblico che s’insinua nel privato, la vicenda personale che si
evolve sugli stimoli
dell’attualità civile. All’alluvione del ’67 fanno seguito altri eventi
salienti: la rivolta studentesca, i lutti del terrorismo, la riforma
manicomiale di Basaglia, la strage di Capaci, lo scandalo di tangentopoli.
E i sussulti del presente si riflettono sincreticamente nella vita
di Nicola e Matteo e dei loro parenti e amici; si rivelano in situazioni,
relazioni, drammi che Giordana sa rendere cinema compiuto e coinvolgente.
Primi piani che sublimano il linguaggio televisivo nell’intensità
dei rapporti interpersonali, un dinamico senso dell’inquadratura che
mentre mette a fuoco i protagonisti lascia crescere lo “sfondo”, essenziali
pianisequenza, carrelli all’indietro di scorrevole dialettica narrativa,
interpretazioni di memorabile, commossa
verosimiglianza…
Tra gli Animals (The House Of The Rising Sun) e Astor Piazzola
(Oblivion), tra la sotterranea umanità torinese e la caotica
familiarità della capitale, nel corso di circa quarant’anni,
regia e sceneggiatura (Rulli e Petraglia) saturano, in una profonda
emozione schermica, gioie e tragedie di uno stuolo di personaggi indimenticabili,
calibratissimi intrecci tra la “piccola” e la “grande” storia: se
nel fango di Firenze Nicola conosce la sua Giulia
(Sonia Bergamasco), algida pianista, l’insana utopia della lotta armata
la strappa inesorabilmente al suo affetto e a quello della figlioletta Sara;
la carriera in magistratura della sorella Giovanna
(Lidia Vitale) rende testimonianza della violenza mafiosa
(omicidio
Borsellino), l’alta carica in Banca d'Italia raggiunta da Carlo (nel
frattempo sposato alla sorella minore Francesca
-
Valentina
Carnelutti) lo mette nel mirino delle BR, Vitale
(Claudio Gioè), l’amico proletario, subisce il licenziamento FIAT,
ma sa rifarsi una posizione con una sua impresa di costruzioni; Nicola,
psichiatra affermato, ritrova Giorgia segregata, maltrattata, in una
delle infami strutture pseudomediche della capitale.
Intanto papà
Carati (Andrea Tidona) è morto
di tumore e mamma Adriana
(Adriana Asti), professoressa impeccabile, tende a vivere in solitudine
lo strazio dei suoi lutti. Sì,
perché il fulcro, lacerante, di
La meglio gioventù
sta nel personaggio
di Matteo che, dopo aver vissuto con sofferto rigore gli anni della
rivolta giovanile (dalla parte delle forze dell’ordine), è sembrato
approdare alla felicità nell’incontro con Mirella
(Maya Sansa) bibliotecaria-fotografa. Ma per la sua personalità tormentata
non c’è pace: la scena del suicidio è di incombente laconicità
(quelle scarpe lasciate sul terrazzo), la sequenza del funerale,
con quel groviglio di
ombrelli scuri che “si apre” per lasciar passare la bara lucente,
è un vero gioiello.
A tessere la trama di tutte le vicende resta comunque, sempre, la
figura esemplare di Nicola: lo studente universitario intraprendente
e aperto di
vedute, il marito innamorato che, per salvarle la vita, consegna la
moglie brigatista alla polizia, il padre premuroso che vive solo con
la figlia, lo psichiatra basagliano amorevole coi pazienti ma incapace
di percepire l’angoscia profonda del fratello, il figlio che non trascura
la vecchiaia solinga della madre distrutta dal dolore, l’uomo dolce
e fiducioso ("tutto quel che esiste è bello") che riceve
“in eredità” una donna che lo farà alfine felice, il cittadino che
sa ancora scandalizzarsi di fronte alle ipocrisie e alle crudeltà
di una società pigra e autoassolutoria, che pratica sempre più il
cinismo e meno la solidarietà. La storia di Nicola (e de
La meglio gioventù)
è racchiusa tra due dialoghi di emblematica efficacia: in apertura,
durante l’esame all’università, il professore lo ammonisce “lasci
questo paese... è un paese bello e inutile, da distruggere: tutto
rimane uguale e immobile, in mano ai dinosauri”; nell’ultima parte quando, come psichiatra, si reca
in carcere per assistere un arrestato di mani pulite questi sentenzia
“è l'Italia che hanno fatto i nostri padri, mi creda” e Nicola ribatte “no,
mio padre no, mi creda anche lei...”.
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