Il passato (Le passé)
Asghar Farhadi - Francia/Italia 2013 - 2h 10'

PALMA per la migliore attrice a Bérénice Bejo


   Tutto, o quasi, nasce per colpa di una macchia su un vestito: qualcosa di incontestabile, ma di cui nessuno vuole prendersi la responsabilità. L'indizio non potrebbe essere più evidente: Il passato, il nuovo film di Asghar Farhadi scava nella storia dei suoi personaggi per farne emergere le «macchie» nascoste, capaci di aiutare a capire i comportamenti dell'oggi. Premiato a Cannes con la Palma per la miglior attrice (Bérénice Bejo), il film continua sulla strada già sperimentata dal regista iraniano nei precedenti About Elly (2009) e Una separazione (2011), quella di una narrazione che non dà nulla per scontato e offre allo spettatore la possibilità di scoprire, scena dopo scena e dialogo dopo dialogo, gli elementi utili per meglio capire la realtà. Ogni volta, però, col rischio di rimettere in discussione le conoscenze (e le certezze) accumulate fino a quel momento. (...) Farhadi usa Ahmed e la sua apparente estraneità ai fatti per smontare i silenzi e le reticenze dietro cui tutti vorrebbero nascondersi ma di cui finiscono per fargli carico. Nemmeno lui appare totalmente «innocente» (perché quattro anni prima aveva lasciato tutti per tornare in Iran?) e spesso le sue scelte aumentano le tensioni invece che diminuirle. Ma questa è una voluta conseguenza del modo di fare cinema del regista, che usa i comportamenti e le frasi (a volte espresse solo a metà) dei suoi personaggi per scavare nella storia e illuminare un po' meglio - e un po' diversamente - la realtà dei fatti. Così che, scena dopo scena, finiamo per conoscere di più e forse capire un po' meglio. In questo modo il ruolo che Farhadi chiede allo spettatore non è più solo quello di un osservatore attento e partecipe, ma piuttosto quello di un detective capace di entrare in una relazione emotiva con la materia raccontata. Come succede nella vita reale, dove i comportamenti delle persone finiscono per coinvolgerci, innescando tensioni e passioni. E, come nella realtà, senza trovare una risposta a tutte le nostre domande. Proprio quello che succede nei suoi film, che si chiudono sempre su un dubbio e non su una certezza. E su un senso di malinconico fallimento che ci restituisce dallo schermo il senso dei nostri limiti e, come qui, di un amaro bilancio esistenziale. Perché spesso non siamo nemmeno artefici fino in fondo delle nostre scelte.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

   ...Sulla carta era la classica trappola: cast internazionale, lingua e cultura lontane (Parigi e le sue vestigia però restano intelligentemente sullo sfondo, tutto si svolge in una più neutra casetta di periferia). Ma Farhadi, come aveva già ampiamente dimostrato in Una separazione conosce l'arte di elaborare nodi così complicati che più cerchi di scioglierli più si aggrovigliano. E la dolorosa matassa familiare di Le passé, con quella Francia così cosmopolita e insieme così chiusa, finisce per assumere un'inattesa valenza 'politica', oltre che esistenziale naturalmente. Nel quadro, già abbastanza labirintico, presto infatti si inseriscono ulteriori complicazioni. C'è un'altra moglie in coma, per ragioni che resteranno da chiarire; un figlio che deve nascere; una figlia grande che accusa la madre (ma nasconde a sua volta colpe solo sue); un figlio piccolo che non sa più quale sia la sua casa (solo i grandi registi usano con tanta misura e efficacia i bambini); più una tonnellata di rimpianti e cose non dette, e forse non dicibili, che separano ulteriormente l'iraniano e la sua ex-moglie. Ma mentre tutti si accapigliano su torti e responsabilità di ognuno, l'unico a sforzarsi di capire (e far capire) le ragioni di tutti sembra essere proprio quell'ex-marito venuto da lontano. Anche se a volte ottiene l'effetto contrario. Metafora perfetta, e forse non così casuale, di quei mediatori che cercano di costruire la pace nei Balcani o in Medio Oriente. Come per ricordarci che le guerre, di ogni dimensione, nascono sempre per le stesse cattive ragioni. E che mettendo sotto la lente di ingrandimento una famiglia (anzi tre) possiamo capire meglio il mondo in cui viviamo. Anche se Farhadi si guarda bene dal sottolineare questa lettura per concentrarsi sui suoi personaggi, sui loro sforzi, sui loro bisogni più profondi. Ovvero sull'impossibilità di conoscere quel passato, anche recente, di cui tutti, ogni giorno, nostro malgrado restiamo prigionieri.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   "Le donne sono il segno del cambiamento, forse perché partoriscono e hanno insita l'idea del futuro, mentre gli uomini incarnano fissità e tradizione" commenta Farhadi, che non ha certezze, fuorché una: dubitare di tutto, non per una volontà relativistica, bensì per intercessione del caso e, insieme, del libero arbitrio. È cinema umanista, il suo, che proprio nella mancanza di libertà ne trova il desiderio e la speranza: "In Iran non c'è sufficiente libertà, ma non è detto che fuori ci sia: in Occidente esiste solo l'immaginario della libertà, le persone sono convinte di essere libere, ma non lo sono. Se nel mio Paese si lotta con la censura, in America c'è una censura ancora più forte: il capitale, la finanza". Farhadi fa professione di fede nel pauperismo, meglio, nell'austerità: non concede allo spettacolare, non si fa prendere la mano dall'affabulazione, non sperpera il suo capitale poetico, non trascolora in terra straniera la sua glocalità. "Non me ne sono andato in Francia per essere libero, ma perché la storia mi portava lì. E ho applicato lo stesso sistema di sempre: se sei abituato a camminare su un terreno accidentato, ti muovi allo stesso modo sull'asfalto". Da vedere, riflettere, conservare..

Federico Pontiggia - Il Fatto Quotidiano

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Parigi. L'iraniano Ahmad e la francese Marie sono separati da quattro anni e lui nel frattempo è tornato a Teheran. Per espletare le formalità del loro divorzio, l'uomo torna nella capitale francese; ben presto, però, si rende conto che i rapporti tra Marie e la figlia Lucie sono piuttosto conflittuali. Ahmad cercherà di migliorare la situazione, ma nel frattempo un segreto verrà svelato... Intorno all’atto finale di un matrimonio Farhadi sviluppa una potenza di scavo bergmaniana e la tensione di un thriller. Gli strordinari interpreti recitano come se avessero vissuto quelle vite ancor prima di interpretarle, la narrazione è tesa, il passo invisibile e sicuro. Non una nota di musica in più o un eccesso formale o sussulto che consentano alla regia di intromettersi tra pubblico e personaggi; resta la pura voce inconfondibile del grande cinema.

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