Dopo
Spagna e Russia, l'originale
Cédric Klapisch torna nella sua Parigi per
glorificarne la «pariginità», quell'insieme di malinconia solare che si
esprime nelle «choses de la vie» che un ex ballerino malato osserva dal
balcone di casa (Romain Duris, alter ego d' autore). Un puzzle alla moda
dei destini incrociati (citiamo anche
La Ronde) dove tutti tradiscono e
nessuno colma carenze di affetto, mantenendo il complesso di colpa
intatto, ché sgorga la coscienza. Personaggi curiosi di cui siamo
affettuosamente complici (Binoche, l' impareggiabile Luchini,
intellettuale in amore), anche se tutto si prolunga. Ma Parigi mai così
cinemascopica val una puntata sentimentale di leggera profondità dove si
intrecciano privacy varie e si accennano temi alti, un giro dell' oca di
solitudini e brevi incontri, pure al mattatoio. Finale a cuore aperto,
sapore borghese alla Lelouch & Sautet con qualche
Amélie. |
Una
grande metropoli, una serie di personaggi che si incrociano senza
conoscersi, un susseguirsi di incontri e coincidenze che dà a questi
frammenti di storie fascino e coerenza, uno sguardo d'insieme sulla città
che collega e in certo modo rende possibili tutti questi personaggi, le
loro vite, i problemi piccoli o enormi con cui hanno a che fare ogni
giorno. È il trascinante Parigi di Cedric Klapisch. Chi ricorda il
delizioso
Ognuno cerca il suo gatto, storia "di quartiere"
in cui ogni vicolo dell'XI arrondissement parigino nascondeva (o rivelava)
una storia, sa che Klapisch ha il senso del dettaglio, la mano lieve e il
dono di dipingere un carattere in una scena. Parigi è quasi un remake
"espanso" e pieno di grandi attori di quel piccolo film fatto con giovani
talenti e interpreti non professionisti. Al posto del quartiere della
Bastiglia, allora in piena trasformazione, c'è l'intera città con tutta la
sua storia addosso (il personaggio di Luchini è addirittura uno storico di
Parigi, mentre suo fratello François Cluzet, architetto, sta ridisegnando
una fetta della Rive Gauche). E una piccola folla di personaggi scelti nei
quartieri e nei ceti più diversi, con quel misto di grazia e ironia che è
il marchio di Klapisch.
Inutile cercare figure bizzarre, occasioni stravaganti, accostamenti
inattesi. In fondo viviamo tutti le stesse cose ogni giorno, amori e
morti, corteggiamenti e separazioni, malattie e crolli nervosi. Non conta
l'originalità o la sorpresa, conta la verità che il film estrae da ogni
situazione e il modo in cui le collega. Ecco dunque Romain Duris,
ex-ballerino del Moulin Rouge, in attesa di trapianto di cuore (Klapisch
non teme i cliché: qui ce ne sono addirittura due insieme e va benissimo
così). Ecco sua sorella Juliette Binoche, separata con figli, e il
professore di mezz'età (Fabrice Luchini), che nella prima scena
seppellisce il padre, nella seconda resta folgorato da una studentessa (Mélanie
Laurent), nella terza la inonda di sms, passando dal gergo giovanile ai
versi di Baudelaire... Intanto un maestro di nuoto africano viene
rimpatriato a forza. Un gruppo di fotomodelle si concede una notte brava
nei mercati generali, con annessi brividi galanti (ma il verduraio Albert
Dupontel, uomo sensibile e neovedovo, si tira indietro: «Non so se mi
piace quando è così formidabile!»). Ecco ricordi d'infanzia, sedute di
psicanalisi (una sola scena, ma vale tutto
Woody
Allen),
sogni d'architetto girati in 3 D (altra bella scena), panettiere soavi e
razziste, amori a sorpresa, amori di ripiego, amori solo sognati. E tutta
una costellazione di rapporti famigliari o sentimentali, fratelli e
sorelle, genitori e figli, docente e allieva, così parigini e insieme
universali che a fine film non sappiamo se abbiamo viaggiato più dentro o
fuori di noi. Classico e contemporaneo, antico e moderno. Come Parigi.
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