Nine
Rob Marshall - USA/Italia 2009 - 1h 50'

  Guido Contini è un regista sull’orlo di una crisi creativa. Diviso tra l’amore carnale di Carla e quello coniugale di Luisa, Guido cerca una storia da raccontare e un sogno da sognare. Incalzato dal suo produttore che vuole girare, dai sensi di colpa e dalle ansie sessuali, il regista abbandona set e conferenze stampa e trova rifugio nella camera di un Grand Hotel, lontano da Roma e dalle responsabilità. Sotto pressione, crolla tra le braccia dell’amante e umilia una volta di troppo la consorte, che lo abbandona al suo film mai iniziato e ai suoi appetiti mai finiti. Disperato, Guido congeda le ‘maestranze’ e si ritira lungo il confine tra fantasia e realtà. Lontano dal set l’uomo si riconcilia con l’artista e con tutte le figure femminili della sua vita.
Nine non è il remake dell’Otto e mezzo felliniano, o almeno non lo è esplicitamente. Chiariamo, Nine è la versione cinematografica dell’omonimo musical di Broadway, ispirato all’analisi del sogno e dei sogni di Federico Fellini. Trasposizione teatrale e traduzione su schermo sono allora remake nascosti, ovvero rispettosi del veto imposto da
Fellini (era il 1982) e delle leggi sul copyright ma sganciato da eventuali preoccupazioni sulla riconoscibilità di una marca autoriale.
Stabilite distanze e relazioni,
film precedente in archivio Rob Marshall gira un musical che ha l’ambizione, assolutamente legittima, di superare i confini geografici avvicinando due realtà diverse per storia e cultura dentro la medesima utopia espressiva. Il prodotto però cade lontano dalle (buone) intenzioni, contravvenendo la capacità immaginativa di Fellini e infilando una messe di citazioni irriverenti e semplificazioni estreme, umori trasgressivi e accenti moralistici. Mantenuta la struttura narrativa, ovvero le relazioni tra gli eventi e i personaggi, e conservata l’epoca storica (gli anni Sessanta), il luogo geografico (l’Italia) e quello d’azione (il Teatro 5 di Cinecittà), sceneggiatori e regista ritoccano fino alla banalizzazione l’impianto ideologico dell’opera felliniana. Nine è allora un perfetto musical di sintesi, una centrifuga di stereotipi sull’Italia, sugli italiani, sul cinema italiano e sulle magiche visualizzazioni del Guido felliniano, ridotto qui a un bohémien da soap opera. Eppure, sotto le superfici della banalità glamorous e dietro il pigro snodarsi delle evoluzioni coreografiche, Nine non riesce a rappresentare il sogno di un sogno, com’è nelle prerogative del musical, mancando di quella coerenza interna che fa delle sequenze di danza e canto la naturale proiezione dello stato d’animo dei protagonisti. La trionfante esplosione divistica è “tiranneggiata” da Daniel Day-Lewis, che abita i panni e la crisi di un regista nel solito modo prodigioso ma prigioniero della propria esasperata diligenza. Intorno a lui fanno corona consorti, amanti, dive, madri e muse che chiedono forma e identità artistica per accedere al suo palco e al suo cuore.
Marion Cotillard, Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Nicole Kidman e Sophia Loren si applicano con tenacia per salvaguardare la resa spettacolare e generare un’emozione autentica nello spettatore e una nuova creatività vitale nel protagonista. Vale tutto: tacchi, autoreggenti, cabaret bustier e un sussurrato “coochie coochie coochie coo”.

Marzia Gandolfi - MyMovies.it

   Per essere un film su Fellini, Nine non è molto felliniano, il che potrebbe essere un complimento se solo fosse qualcos'altro. Per essere un musical sui nostri ruggenti anni '60, spider, occhiali da sole, eleganza, confusione, cardinali, e naturalmente Cinema, è avaro di grandi canzoni d'epoca (solo Ventiquattromila baci, Quando quando quando e due gemme di Murolo che nessun italiano accosterebbe mai al genio riminese!). Per essere un film sulle donne e l'immaginario di Fellini, infine, è insieme un po' troppo esplicito - l'erotismo anni 60 era decisamente più sottile - e intriso di peccato. Il peccato dei protestanti però, che è diverso dal nostro. Il Contini/Fellini di Daniel Day-Lewis si danna perché non trova l'ispirazione e per la goffaggine con cui tradisce Marion Cotillard con Penelope Cruz. Ma a parte qualche numero, come quello iniziale di Day-Lewis, il colloquio "acquatico" col cardinale (un irriconoscibile, bravissimo Remo Remotti) e il confronto finale con la moglie, Nine cerca invano un centro, artistico e musicale. Con veri tonfi, come quella Saraghina taglia 48. Bello il numero di Kate Hudson, che traduce il mito di Fellini in puro consumo. Era quella la chiave giusta. Ma ci voleva ben altro coraggio.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   A rimettere le mani sui miti si rischia qualche dolorosa bruciatura. Era già successo in parte a Bob Fosse, quando si era ispirato al felliniano 8½ per raccontare in All That Jazz i sogni e le delusioni di un regista inseguito da produttori scettici, mogli in crisi, amanti e intoppi vari. Succede adesso a Rob Marshall che porta sullo schermo il musical anni ottanta Nine, dichiaratamente ispirato alla figura di Federico Fellini. Nel film, così come sulla scena, si chiama Guido Contini, e sullo schermo, con il volto affusolato di Daniel Day-Lewis e un vistoso paio di occhiali neri, ricorda anche il Marcello Rubini della Dolce vita e il Guido di (entrambi interpretati da Marcello Mastroianni). Ma il rimando al regista riminese è inequivocabile, a partire dalla corte di donne che entrano e escono dalla sua vita e che danno forma a persone reali o immaginarie. E alla citazione quasi letterale dell' episodio della Saraghina (sullo schermo affidato a Stacy Ferguson), la prostituta che improvvisa un balletto sulla spiaggia e incanta un giovanissimo Fellini in uno degli episodi più celebri di . Il film di Marshall, ambientato nel 1965, dovrebbe raccontare il «nono» film del regista e ne mette in scena l' impasse creativo, i dubbi, la crisi d' ispirazione, attraverso tutti i luoghi comuni del «fellinismo» più scontato: le bugie del regista, le sue fughe, la sua «dipendenza» dalle donne, la sua proverbiale idiosincrasia per conferenze stampa e spiegazioni varie, la sua capacità di aggirare le richieste di produttori e finanziatori. Fellini non era così, anche se ogni tanto gli piaceva lasciarlo credere ed evidentemente gli autori del musical (Kopit e Yeston) e poi della sceneggiatura (Tolkin e Minghella) non si sono sentiti in dovere di rispettare una qualche verità storica. Ma da qui a trasformare il personaggio di Contini/Fellini in una specie di immusonito e scontroso artista eternamente in crisi, inaffidabile e inconcludente, «italianamente» dipendente da mamma, moglie e amante, beh il passo è decisamente troppo lungo. Senza dire che la struttura del film, costretta ad offrire un «asolo» a ognuna delle sue primedonne, finisce per perdere coesione. Che nemmeno delle musiche poco orecchiabili aiutano a ritrovare.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

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Nine non è il remake dell’Otto e mezzo felliniano, o, meglio, è la versione cinematografica dell’omonimo musical di Broadway, ispirato all’analisi del sogno e dei sogni di Federico Fellini. Trasposizione teatrale e traduzione su schermo sono allora remake nascosti. Marshall ha girato un perfetto musical di sintesi, una centrifuga di stereotipi sull’Italia, sugli italiani, sul cinema italiano e sulle magiche visualizzazioni del Guido felliniano, impersonato da un tormentato e scontroso Daniel Day-Lewis. Intorno a lui fanno corona consorti, amanti, dive, madri e muse che chiedono forma e identità artistica per accedere al suo palco e al suo cuore: Daniel Marion Cotillard, Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Nicole Kidman, Sophia Loren... Un tripudio di divismo e revival per palati cinefili.

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TORRESINO - gennaio 2010

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