da La Repubblica (Paolo D'agostini) |
Un bell'esempio di come può essere fertile la relazione tra un romanzo e un film. Da "Nemmeno il destino" di Gianfranco Bettin (Feltrinelli) il regista Daniele Gaglianone (quello del brillantissimo esordio con I nostri anni dove, nell'oggi, due vecchi e malandati ex partigiani rintracciano un vecchio e malandato ex aguzzino delle brigate nere e decidono di giustiziarlo) ha preso selettivamente quello che voleva ma si è meritato dallo scrittore un "grazie a lui ho capito meglio il mio testo". La lettura del regista è dedicata all'adolescenza che crede nell'amicizia, che corre il rischio di perdersi, che cerca un proprio posto lontano dalle delusioni dei genitori, che si ribella rabbiosamente perché solo così si può crescere. Sullo sfondo di una periferia dalla doppia valenza, quella di una città invasa dai resti della sua civiltà ex industriale e quella interiore di un destino segnato dalle infelicità familiari, Ale figlio di una donna marchiata dalla violenza subìta e Ferdi, figlio di un ex operaio messo ai margini malato e alcolista, reagiscono insieme alla cappa che li soffoca. Con la stessa rabbia ma con esiti diversi. Dal gesto di rivolta estrema e autolesionista del secondo il primo trarrà forse la maturazione necessaria per uscire dal riformatorio pronto a un'altra vita. Una combinazione produttiva appassionatamente indipendente, un'opera dura, non facile, che conferma il talento, aspro quanto personale, di un autentico innovatore. o di squisita incompletezza. Un po' frustrante, forse; ma che si scava uno spazio persistente nella memoria. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Ancora una canzone nel titolo dopo In questo mondo di ladri e Shall we dance? per Nemmeno il destino, opera seconda che Daniele Gaglianone, ha tratto dal romanzo di Bettin edito da Feltrinelli. Puntando sui disagi e i malumori di tre ragazzi, dalla vita pressoché segnata, l'autore centra il bersaglio mobile di un racconto in cui si incrociano tre vite abbastanza disastrate per colpa sia della società sia della famiglia. Alessandro, che finisce in una casa di rieducazione, vive con la madre, il cui amore sarà alla fine recuperato; Ferdi sta col padre ex operaio alcolizzato, Toni scompare presto. Ha valore l'amicizia? Tutti e tre vivono ai margini di una metropoli, non importa quale, l'importante è che il film sprigiona una verosimiglianza che diventa un neorealismo non certo magico ma aspro con un tocco astratto che ci aiuta a guardare in faccia la vita senza abbassare gli occhi. Il film è bello perché non arretra nel melenso, nel retorico o nel moralismo: si cita Faulkner, si ricorda con rabbia il passato, ma anche sul futuro non ci sono alternative. Duro e coerente come altre opere giovani recenti (Vento di terra, Saimir), il film è una tragedia annunciata che si consuma nella passività, nell' inerzia e mescola benissimo, con la verità della solitudine vissuta, pubblica e privata, il piano reale e quello fantastico. Anche per merito di attori dilettanti e professionisti che finiscono per avere lo stesso allarmante tono di voce e lo stesso sguardo perduto sul vuoto. |
i giovedì del
cinema
invisibile
TORRESINO
febbraio-aprile 2005
con la presenza in sala di Gianfranco Bettin