Liberi
Gianluca Maria Tavarelli - Italia 2003 - 1h 53'


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da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Dopo trent'anni di fabbrica, l'operaio Cenzo è licenziato. Chi ricorda il recente Il posto dell'anima ci vede una conferma: il cinema italiano, dunque, si sta ricordando che non esistono soltanto gli "happy few" e ricomincia a mettere nei fotogrammi la classe operaia. Invece il licenziamento è soltanto il pre-testo di Liberi, che prende velocemente un'altra strada raccontando le speranze, le delusioni e la storia d'amore di Vince, il figlio ventenne di Cenzo. Vince vive l'irrequietezza dei suoi vent'anni: parte dal paesello abruzzese per fare l'aiuto-cuoco a Pescara, dove s'innamora di Genny, che sogna la tv ma soffre di crisi di panico. A un certo punto lo raggiunge papà, lasciato dalla moglie per un altro uomo (si è trasferita anche lei a Pescara) ma fiducioso di poterla riconquistare. Altrove regista di film quasi sperimentali (il bellissimo Un amore, fatto di lunghi piani-sequenza divisi - nella storia - da intervalli di anni), questa volta Gianluca Maria Tavarelli sceglie di rappresentare una storia di lotta per la vita quotidiana: non in termini di politici né tanto meno di classe, ma in una chiave esistenziale sommessa e minimalista. Benché tinto di commedia, Liberi finisce per incentrarsi soprattutto sul nucleo drammatico del difficile confronto tra padre e figlio; dove, progressivamente, le parti si ribaltano, il primo subisce una regressione e il secondo è costretto ad assumere il ruolo paterno. Idea stimolante, questa, e parecchio attuale. Anche la scelta di dare una voce alla fatica di vivere della gente comune è interessante: tutti, donne e uomini, giovani e meno giovani si portano appresso un bagaglio pesante d'insicurezze e di paure, delle asprezze, il timore di non farcela; eppure trovano la forza di non rinunciare a tutto. Così, quando Cenzo, al culmine della crisi esistenziale, sale su un edificio in costruzione, si sospetta che il film gli faccia ripetere il gesto dell'operaio abbandonato nel Grido di Michelangelo Antonioni: ma non è così. Una scelta del genere avrebbe contraddetto quella della narrazione asciutta e antidrammatica, mirante a svelare il disagio dei personaggi piuttosto che a sorprendere o commuovere lo spettatore con colpi di scena. La strategia narrativa "debole" di Liberi, però, è anche il punto debole del film, raccontato in modo piano e un po' piatto nell'onesto (ma poco entusiasmante) tentativo di evitare l'eccesso d'enfasi. Tanto più che la sceneggiatura si lascia tentare, ripetutamente, da espedienti narrativi troppo facili, anziché adottare i toni aspri di un certo cinema britannico (alla Ken Loach, o meglio ancora alla Mike Leigh), cui pure s'ispira.

LUX - settembre 2003