Leviathan
Andrey Zvyagintsev
- Russia 2014 - 2h 20’

67° CANNES: miglior sceneggiatura

GOLDEN GLOBE: miglior film straniero


 

   Si intitola Leviathan il film che il regista russo Andreij Zvyagintsev ha portato in concorso a Cannes e come il mostro biblico che terrorizzava Giobbe e quello politico che teorizzava Hobbes, il moderno Leviatano è ancora capace di imporre il suo potere e le sue leggi. Anche se sembra senza alcuna vita, come la carcassa abbandonata su una spiaggia che a un certo momento si vede nel film. E invece l’indifeso Kolya, che ha l’unico torto di vivere su un terreno che fa gola al corrotto sindaco locale per dare il via a una speculazione «tra pubblico e privato», scoprirà sulla sua pelle che niente può proteggerlo dalle ambizioni dei corrotti. Nemmeno il suo amico avvocato fatto venire da Mosca (il film è ambientato in una cittadina sul mare di Bering), che cadrà nella trappola dei potenti, oltre che in quella del proprio egoismo sessuale. Già premiato a Venezia con un discusso Leone d’oro per Il ritorno, Zvyagintsev trova qui una cifra stilistica più controllata e matura, che scava nelle psicologie dei personaggi (Kolya ha un figlio di primo letto e una compagna, oltre a degli amici di sbronze che finiranno per essere causa involontaria della sua sconfitta) per restituirci il ritratto di un paese dove chi detiene il potere — politico, poliziesco, giuridico o religioso non fa differenza — si trova alleato nel perpetuare il proprio dominio a scapito dei più deboli. Togliendo al Giobbe di turno anche la possibilità di invecchiare felice come succedeva nella Bibbia.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera 

   Non lasciatevi ingannare dalla bellezza. Della bellezza, che pure irrompe sin dall’inizio nei magnifici scorci naturalistici di Leviathan, non resterà traccia alla fine dell’infernale percorso che Andrey Zvyagintsev impone allo spettatore e al suo povero cristo protagonista. Kolia (un superbo Alexseï Serebriakov) è un brav’uomo che vive di riparazioni in una piccola città costiera del nord della Russia. Insieme alla seconda moglie, Lilya (Elena Lyadova), e al figlio di prime nozze, Roma (Sergueï Pokhodaev), dimora in una vecchia casa di legno appartenuta per generazioni alla sua famiglia. E tutto andrebbe a meraviglia, se il suo terreno non facesse gola allo spregiudicato sindaco Vadim (Roman Madianov), che vorrebbe portarglielo via e soddisfare così gli appetiti degli speculatori. Kolia proverà a fermarlo in ogni modo, richiamando da Mosca “un amico” avvocato, appellandosi al diritto, al sacro senso di giustizia, alla tradizione, ma alla fine perderà tutto.
Zvyagintsev riapre i giochi del concorso con una rilettura del Leviathan di Hobbes di rara forza espressiva. Sfruttando la potenza allegorica di un lembo di terra aspra, suggestiva, astratta, affacciata sul Mare di Barents, il regista de Il ritorno imbastisce una commedia apocalittica e kafkiana sulla corruzione dell’odierna Russia, il Leviatano che continua a divorare aspirazioni, diritti e libertà. Le sue leve sono lunghe, implacabili, inimmaginabili: dalla politica alla religione (impietosa la raffigurazione della Chiesa Ortodossa), dalla giustizia alle forze dell’ordine, tutto lavora perché lo Stato, questo straordinario e perverso meccanismo di dominazione, continui ad alimentarsi e a riprodursi, corrompendo persino i legami più sacri. Come dice il Pope al sindaco: “Lavoriamo per la stessa cosa, ma in territori diversi”.
E se la tragedia di Kolia guarda da vicino a quella del
Serious Man dei Coen (entrambi novelli Giobbe), la chiave di lettura è invece decisamente politica: Leviathan è una denuncia durissima stemperata appena dalla bonaria ironia con cui Zvyagintsev biasima i costumi dei propri connazionali (a partire dal bicchiere facile).
Superbo lo stile visuale (la fotografia è di Mikhail Krichman), azzeccatissimo il cast, suggestivo il tappeto sonoro (Philip Glass). Ai cultori della sottrazione potrà sembrare forse prolisso e ridondante (in linea comunque con la tradizione narrativa russa), ma il vero difetto, se proprio bisogna trovargliene uno, è l’eccessivo avvitamento della trama attorno al proprio obiettivo polemico: lo schema sotteso al racconto di tanto in tanto riemerge sovrapponendosi allo sviluppo naturale e plausibile dei fatti.

Gianluca Arnone - cinematografo.it

   Kolia vive in una remota località rurale nel nord della Russia, vicino al mare. In quel piccolo paese un sindaco prepotente e corrotto ha deciso di volere per sé le terre di Kolia e cerca quindi di comprarle. Ex-militare e uomo dal temperamento violento e coriaceo, Kolia non solo non accetta ma si scaglia con violenza in una causa legale per mettere in mutande il sindaco stesso. Ad aiutarlo c'è un amico, avvocato di Mosca, con lui sotto le armi e molto determinato nel fermare quest'abuso.
Viene dritta dal libro di Giobbe questa parabola umana di disperazione ma è asciugata completamente da qualsiasi forma di speranza o fiducia in Dio (e figuriamoci nella Chiesa!). I disastri nella vita del protagonista infatti si susseguono uno dopo l'altro ma non è tanto la volontà di Satana a metterlo alla prova, quanto più prosaicamente l'accanimento del sindaco cioè della forma minore di potere statale che si possa incontrare.
Dividendo con molta cura il film in due parti, una prima iniettata di pesanti dosi di ironia contro tutti (il popolo russo, le abitudini malsane legate al bere, la propria storia politica...) e una seconda in cui prende piede sempre di più il destino di sofferenza del protagonista, Zvyagintsev riesce a costruire un mondo al limite dell'umano in cui paesaggi desolati svelano con sempre maggiore decisione la totale solitudine umana. Quelle lande che Il ritorno aveva esplorato attraverso il viaggio qui appaiono statiche, immobili, ferme e proprio per questo agghiaccianti. Tra relitti di un'altra epoca (case distrutte, imbarcazioni sventrate...) e relitti di esseri viventi (un gigantesco scheletro di Balena che non può non far pensare al Leviatano del titolo) si muovono uomini che lentamente perdono tutto ad opera proprio di quello stato del quale dovrebbero essere parte fondante, che dovrebbe garantire le loro libertà nella visione dell'altro Leviatano, quello di Hobbes. È infatti con un certo rigore e una chiarezza espositiva che non lascia dubbi che Zvyagintsev raduna intorno ad un tavolo i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) nel momento in cui il sindaco pianifica il suo contrattacco. Didascalicamente mette lo stato nella forma più alta (c'è una geniale preponderanza nella fotografia della classica foto di Putin sul muro dell'ufficio del sindaco) a tramare, a braccetto con il potere ecclesiastico. Con equilibrismo invidiabile Leviathan riesce in questo modo a non dare mai l'impressione di accanirsi sui protagonisti ma semmai di condurli in un percorso di sofferenza imputabile ai personaggi e non al sadismo dell'autore. Nel clima desolato in cui è immersa la storia l'impressione è che quella sia l'unica possibile strada per tutti coloro i quali decidono di alzare la testa.
A chiudere la parabola c'è un finale di alto valore simbolico (specie se raffrontato a quello con cui nella Bibbia si chiudono le peripezie di Giobbe, cioè con la restituzione delle sue fortune raddoppiate) che fa piazza pulita di qualsiasi similitudine biblica e dimostra come il film abbia usato una parabola tra le più conosciute dall'uomo per svelare la mancanza di un senso superiore nelle vite individuali. La chiesa non è un conforto e in nessuno degli incredibili paesaggi che costellano tutto il film sembra di intuire una presenza superiore che regoli tutto, solo il silenzio del vento e il vuoto delle anime.

Gabriele Niola - mymovies.it 




promo

Kolia vive con la giovane moglie Lilya e il figlio Roma, avuto da un precedente matrimonio, in una piccola città nel nord della Russia, sul Mare di Barents, dove gestisce un'autofficina. Vadim Cheleviat, il sindaco della città, propone a Kolia di vendergli il terreno, la casa e l'officina, ma l'uomo non sopporta l'idea di perdere tutto ciò che possiede; non solo la terra, ma anche la bellezza che lo circonda fin dalla nascita. Al rifiuto di Kolia, Vadim Cheleviat diventa più aggressivo... Una commedia apocalittica e kafkiana sulla corruzione dell’odierna Russia. Zvyagintsev con un superbo stile visuale mette in scena una denuncia durissima, stemperata appena una bonaria ironia, verso il malcostume dei suoi connazionali che continua a divorare aspirazioni, diritti e libertà.

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 LUX - maggio 2015

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