Il ritorno (Vozvraschenie)
Andrey Zvyagintsev
- Russia 2003 - 1h 45'

 Leone d'oro al Festival di Venezia - Miglior opera prima

   Non è una sorpresa che il vincitore del Leone d’oro di quest’anno sia proprio l’opera prima di Andrey Zvyagintsev, Il ritorno (Vozvraschenie). Esclusi alcuni magnifici abbagli e la (ri)conferma autoriale di Bellocchio, Kitano e de Oliveira su tutti, infatti, la selezione del concorso veneziano non suscitava poi grandi emozioni e, sicuramente, la vittoria del russo Zvyagintsev rappresenta la scelta più scontata (e non per questo meno opportuna) verso un cinema che racchiude al suo interno sia la qualità, tecnica e narrativa, sia la capacità di appassionare.>>
La peculiarità, che costituisce il fascino maggiore del film, è il non detto, il non raccontato, il non mostrato, l’interrogativo crescente che provoca in noi lo sbobinarsi di questa pellicola. In effetti, al termine della visione noi non verremo a capo di nessun dubbio ed anzi, saremo pervasi dall’angoscia suscitata dalla certezza che i nostri quesiti non avranno mai una risoluzione.
La vita di due fratelli, Andrey e Ivan (i bravi Vladimir Garin e Ivan Dobronravov) viene improvvisamente scossa dal ritorno a casa del padre, mai visto prima se non in una foto vecchia più di dieci anni. Senza apparenti e giustificate motivazioni i due ragazzi partono per un viaggio assieme al padre che li porterà ad attraversare le steppe, i boschi, il mare e i laghi sconfinati del nord della Russia, fino a condurli in un’isola remota e desolata. Ma… perché il, presunto, padre decide di tornare dopo tanto tempo a casa? perché non pensa di fornire alcuna spiegazione del suo ritorno? Il padre decide poi di ripartire e portare con sé i figli, si presuppone per riallacciare un rapporto, ma perché riservare loro un trattamento brutale che lo porterà ad essere odiato? e di cosa è alla ricerca il padre in quell’isola deserta? Come queste, altre domande imperversano nella mente dello spettatore, e lentamente (volutamente) l’attenzione viene concentrata più sulla forza visiva scaturita dalle immagini che sul mistero della storia. E’ dalle immagini splendide che ha origine la costruzione drammatica, e tutto, dalla sospensione delle nebbie contrapposta alle piogge dirompenti così come la fermezza dell’acqua del lago contrapposta alla fango tellurico, fa presagire un’inquietudine invadente che prima o poi dovrà esplodere.
Il viaggio rappresenta un percorso di cambiamento per i due fratelli. Si differenziano e si sedimentano i sentimenti e i rapporti più di odio che di amore verso un padre burbero che non sembra in grado di dimostrare il benché minimo affetto verso i figli. Un padre di cui sempre più si può dubitare, imperscrutabile ed oscuro, per il quale non si può che perdere la stima e lasciar posto al rifiuto. In fondo tutto il film è basato su di un sostrato di rimandi biblici e mitologici e come sostiene lo stesso regista, “per una buona parte il film è uno sguardo con intenti mitologici sulla condizione umana”, ma è proprio questo aspetto così concretamente espresso che fa de Il ritorno un’opera fin troppo perfetta, certosina nella cura dei dettagli, impeccabile. Evidentemente non sono certo questi attributi negativi per un film, ma rimane un altro dubbio, oltre ai tanti che il film stesso instaura nello spettatore, e cioè che siamo vittime di fronte ad un’operazione così ben congegnata da rimanerne per forza di cose impressionati, inermi e allettati. Come tali, questi dubbi, non avranno seguito a lungo e con ciò non si può comunque trascurare le indubbie qualità dell’opera di Zvyagintsev
film successivo in archivio: i paesaggi infiniti che riempiono l’anima, l’atmosfera malinconica, la tensione drammatica crescente. La forza vera del film è la forza delle immagini, che è la forza stessa del cinema. Sembra di perdersi nella vastità dei luoghi che allo stesso tempo però costituiscono i limiti stessi dei personaggi, dentro al quale si muovono e dentro al quale vengono definiti e descritti; scoperti nonostante il mistero. L’intensità visiva è frutto della passione per Antonioni, e si vede. Ma si odono anche echi tarkovskiani. Non resta che aspettare per qualunque altra considerazione su questo autore. Staremo a vedere…

Alessandro Tognolo - MC magazine 8 - ottobre/novembre 2003


LUX - novembre 2003