La lettera (A carta)
Manoel de Oliveira - Spagna/Francia/Portogallo 1999 - 1h 47'

 

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

     Passati i 90, la saggezza è un obbligo. Vedere per credere questo piccolo capolavoro illuminista di eleganza e di ironia che è La lettera, girato dal 92enne patriarca portoghese film precedente in archivio Manoel de Oliveira film successivo in archivio e premiato l’anno scorso a Cannes prima che il regista si mettesse a girare a Parigi ben due nuovi film. E fa piacere che ci sia un pubblico pronto a godersi questa lezione aggiornata di morale del piacere (negato). Prendendo spunto e attualizzando nella Parigi di oggi la Principessa di Clèves, del 1678, di M.me de La Fayette, non nuova al cinema (ci pensò nel ’61 Delannoy con la Vlady e sceneggiatura di Cocteau), Oliveira ne fa una rilettura a metà tra il razionalismo di Rohmer e il cinismo di Buñuel, specchiando nei chiari occhi della giovane figlia di Mastroianni il disamore sadomasochista della rinuncia. È lei la casta signora che, sposata senz’amore a un marito banale, s’infiamma per una mediocre star del rock, che è Pedro Abrunhosa nel ruolo di se stesso, ma ci rinuncia dopo la morte del marito e parte per il volontariato. Va anche lei «fuori dal mondo», come l’amica monaca cui confida le sue pene con una lettera, in un finale di magistrale bellezza visiva e sonora. Dentro questa mancata «belle de jour» ci sono, nella rilettura del regista che vivisezionò splendidamente Madame Bovary, le nevrosi della borghesia per le faccende di sesso. E, ai limiti del grottesco, nelle aggrottate sopracciglia di Françoise Fabian, nei chiostri silenziosi, nello stupore della Mastroianni signora borghese di Clèves alle prese con le sorprese esistenziali e mistiche dell’amore, l’autore trova un tipo di sotterranea comicità che fa da rete di protezione alla catena degli avvenimenti, all’insensatezza del cuore, trovando spiegazione solo nel darsi poi agli altri, come accadeva alle ultime, infelici eroine buñueliane.

da Film Tv (Enrico Magrelli)

    Mademoiselle de Chartres, diventata moglie di Clèves, confida alla sua amica suora: "Possiamo controllare i nostri sentimenti, non evitarli". Per lei, che ha l’elegante presenza-assenza di Chiara Mastroianni, solo la fuga in Africa, in una zona di guerra - come racconta in una lunga lettera - è la certezza di stare al sicuro dall’unico e vero amore della sua vita, il cantante Pedro Abrunhosa. Passione, stabilità affettiva, stima, consenso, reputazione scuotono le rigide e raggelate sicurezze di un mondo aristocratico descritto con mano leggera da Madame de La Fayette nel 1678, nel suo romanzo La principessa di Clèves. Questo testo letterario radicato nell’economia sentimentale del XVII secolo, viene riletto, in modo magnifico, dal novantaduenne Manoel de Oliveira, uno dei pochi autori in attività il cui talento non è sfocato dall’età. Il regista portoghese sposta questa storia, di un amore inattuabile e senza domani ai nostri gironi, ma cancella molti riferimenti contemporanei. Le case lussuose, il convento, le stanze della musica hanno il fascino di spazi dell'anima senza tempo. Un film di parole e di emozioni, limpido e straziante.

cantiere Italia cinema Torresino ottobre-dicembre 2000