da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)
Certo che la voglia di pace a tutti i costi che Amos Gitai, il regista più liberal di Gerusalemme, dimostra in Kippur, si scontra con gli avvenimenti di questi giorni. Ma la parola di Gitai è oggi ancora più decisa verso la Pace. Qui ricorda, senza mai far retorica o morale, senza dar giudizi, solo le terribili immagini, quella guerra del 73 di Egitto e Siria contro Israele, iniziata il giorno del Kippur, nel silenzio del rito dellespiazione. Il film rievoca 5 giorni della biografia di Gitai soldato 23enne di un gruppo di soccorso in elicottero, mentre il cinema ci restituisce il fattore disumano della guerra, non le «belle» battaglie con i soldatini in fila, ma la vita che diventa urlo, fango, fatica, sangue, insomma crudeltà, in unassurda sospensione del Tempo. Gitai regista obiettivo, come nei classici bellici, non aggiunge nulla se non la partecipazione del cuore, una cinepresa con anima a mano che passa in ogni fotograma di un film narrato a blocchi espressivi gravi come macigni. Non cè musica, lhappy end è di facciata col ritorno a casa dalla ragazza amata tra le tinte della pittura. Che fatica salvare e seppellire i propri morti: Gitai ce lo comunica con un film tragico e visionario che parte dal concreto ma arriva a mirare in alto, astraendosi dal contingente. Da vedere: è già un classico.
da Film Tv (Bruno Fornara)
C'è mai stata pace in Medio Oriente? Sabato 6 ottobre 1973, nella ricorrenza dello Yom Kippur, il "giorno dell'espiazione", si chiede perdono a Dio nel silenzio e scoppia la guerra. Siriani ed egiziani attaccano, molti soldati israeliani non riescono a raggiungere i reparti, è il caos. Amos Gitai partecipò a quella guerra e ce la mostra in un film lucido e straziante, aperto e chiuso da due scene d'amore con i corpi che si abbracciano su un letto cosparso di vernici. Il tempo colorato dell'amore e il tempo fermo e infinito della guerra. Gitai segue l'affannoso lavoro di una squadra di volontari che in elicottero recuperano i feriti e li riportano negli ospedali. Due scene tolgono il fiato e la pace: quando i soccorritori non riescono a tirar fuori dal fango la barella con un ferito e quando l'elicottero colpito da un razzo precipita a terra senza che la macchina da presa smetta di guardare. Gitai ci costringe a stare dentro la guerra, a guardare e continuare a guardare. Nessun commento, nessuna morale, nessun accenno ad una qualsiasi superiorità sul nemico, nessuna rivendicazione di essere nel giusto. Solo uno sguardo mesto e pietoso su degli uomini che cercano di salvarne altri. Sembrano sapere che non sarà l'ultima guerra. Grande film.
TORRESINO novembre 2000
filmografia
di 1985 Esther |
2001 Eden |