Kadosh |
da Film Tv (Fabrizio Liberti)
Presentato
al Festival di Cannes del 1999, Kadosh
("sacro") è l'ultimo
atto di una riflessione in tre parti sulla vita nelle grandi città d’Israele,
condotta dal regista Amos Gitai. Dopo le ricognizioni nelle comunità
di Tel Aviv (Devarim) e Haifa (Yom-Yom),
Gitai s'inoltra nel cuore stesso del paese e dell'ebraismo, attraverso le mura
e le consuetudini millenarie della comunità ebrea ortodossa di Mea Shearim a
Gerusalemme. È un mondo a parte quello che ci mostra, e la prima impressione
per lo spettatore occidentale è di un inaccettabile anacronismo. Le grandi religioni
monoteistiche hanno di fatto messo la posizione femminile in un ruolo di "feconda"
e indiscutibile subalternità, ma quello che accade a Mea Shearim sembra appartenere
ad un lontano passato. «Benedetto Signore per non avermi fatto nascere donna».
È una delle prime litanie recitate da Meir, trentenne studioso della torah;
l'uomo è sposato da dieci anni con Rivka, ma la coppia non ha figli anche se
la donna non è sterile, e questo è un problema per la comunità e il rabbino
cerca di costringere Meir a ripudiare la compagna. Melka, la sorella di Rivka,
è invece costretta a sposare il gretto Yossef, compagno di studi di Meir, mentre
lei è innamorata di un giovane musicista laico. Le donne sono le vere protagoniste
del film, vivendo in prima persona le contraddizioni della comunità che sacrifica
al rituale e ai comandamenti ogni aspetto del quotidiano, anche il sesso, consumato
in un modo infantile e inaccettabile. Gitai, che per molti anni ha vissuto lontano
da Israele per le sue idee sulla questione palestinese, ci offre un documento
lucido e sofferto sul rapporto tra individuo e comunità. «C'è un mondo qui
fuori» recita una delle donne, ma secondo Gitai non è il migliore dei mondi
possibili e al tempo stesso non può ignorare che quelle leggi arcaiche hanno
permesso al popolo d’Israele di superare la diaspora e le persecuzioni; una
contraddizione apparentemente irriducibile, se non attraverso una nuova e meticcia
concezione del "sacro".
cinema invisibile - Torresino febbraio-aprile 2001