"Il mio film l'ho dedicato a Yusef Hawkins,
l'adolescente nero che per sfuggire all'inseguimento degli inferociti coetanei
italo-americani, che non lo volevano nel loro quartiere perché nero,
finì ammazzato da un'auto".
Spike Lee
non demorde dall'assunto
sociale che accompagna tutta la sua filmografia. Con
Jungle Fever
riapre il contrasto etnico espresso già in Fa'
la cosa giusta rendendolo qui meno ambiguo, ma più suadente
nell'appassionata relazione che coinvolge Flipper, elegante architetto
nero, e Angela, la sua segretaria, una bianca italo-americana. I due, travolti
dalla passione (la febbre della jungla!), credono di poter superare i propri
e gli altrui pregiudizi, ma rimangono invischiati in una situazione senza
uscita nella quale tutti rischiano di perdere la faccia ed ove il lieto
fine non può che restare un'utopia.
Non c'è spazio per i mezzi termini in un'opera come questa: lo slang
è quello diretto e duro della gente di colore, l'incerto confine
tra carnalità e sentimento viene rimarcato, esasperato dalla diversità
razziale, le ipocrisie e le grettezze minano alla distanza ogni possibilità
di una costruttiva maturazione.
"Tra loro non c'è vero amore, ma solo una grande curiosità:
per l'uomo nero di successo la donna bianca è il massimo degli status
symbol, per la donna bianca l'uomo nero è quello che le dovrebbe
assicurare la massima potenza sessuale..." Le dichiarazioni di
Spike Lee risultano ancora più caustiche di quanto, nel rapporto
tra i due, non rivelino le immagini: l'intensa e misurata interpretazione
di Annabella Sciorra (Angela) lascierebbe supporre una pił sincera e sofferta
partecipazione emotiva del suo personaggio, ma alla grande padronanza tecnica
del regista
non corrisponde stavolta, nell'evolversi della vicenda,
una struttura narrativa sempre rigorosa. Anche perché, dietro all'accattivante
love-story di Flipper e Angela, pulsa per il capofila dei registi di colore
il drammatico e devastante problema della droga, di fronte al quale Lee
sembra voler abbassare la guardia della coerenza stilistica, in favore
di una rappresentazione viscerale e shoccante: "La scena dello
stanzone dove centinaia di persone si perdono nel crack è esagerata,
ma l'ho fatta proprio per suscitare orrore. Quella finale, dove il protagonista
abbordato da un'adolescente disposta a tutto per due dollari di droga,
la stringe a sé come a difenderla e a liberarla, vuole essere il
grido che deve risvegliare tutta la nostra gente. Il crack sta ammazzando
soprattutto i neri, sta distruggendo le nostre famiglie, cancellando intere
generazioni" |