Jungle Fever
Spike Lee - USA 1991 - 2h


"Il mio film l'ho dedicato a Yusef Hawkins, l'adolescente nero che per sfuggire all'inseguimento degli inferociti coetanei italo-americani, che non lo volevano nel loro quartiere perché nero, finì ammazzato da un'auto". film precedente in archivio Spike Lee film successivo in archivio non demorde dall'assunto sociale che accompagna tutta la sua filmografia. Con Jungle Fever riapre il contrasto etnico espresso già in Fa' la cosa giusta rendendolo qui meno ambiguo, ma più suadente nell'appassionata relazione che coinvolge Flipper, elegante architetto nero, e Angela, la sua segretaria, una bianca italo-americana. I due, travolti dalla passione (la febbre della jungla!), credono di poter superare i propri e gli altrui pregiudizi, ma rimangono invischiati in una situazione senza uscita nella quale tutti rischiano di perdere la faccia ed ove il lieto fine non può che restare un'utopia. Non c'è spazio per i mezzi termini in un'opera come questa: lo slang è quello diretto e duro della gente di colore, l'incerto confine tra carnalità e sentimento viene rimarcato, esasperato dalla diversità razziale, le ipocrisie e le grettezze minano alla distanza ogni possibilità di una costruttiva maturazione.
"Tra loro non c'è vero amore, ma solo una grande curiosità: per l'uomo nero di successo la donna bianca è il massimo degli status symbol, per la donna bianca l'uomo nero è quello che le dovrebbe assicurare la massima potenza sessuale..." Le dichiarazioni di Spike Lee risultano ancora più caustiche di quanto, nel rapporto tra i due, non rivelino le immagini: l'intensa e misurata interpretazione di Annabella Sciorra (Angela) lascierebbe supporre una pił sincera e sofferta partecipazione emotiva del suo personaggio, ma alla grande padronanza tecnica del regista
non corrisponde stavolta, nell'evolversi della vicenda, una struttura narrativa sempre rigorosa. Anche perché, dietro all'accattivante love-story di Flipper e Angela, pulsa per il capofila dei registi di colore il drammatico e devastante problema della droga, di fronte al quale Lee sembra voler abbassare la guardia della coerenza stilistica, in favore di una rappresentazione viscerale e shoccante: "La scena dello stanzone dove centinaia di persone si perdono nel crack è esagerata, ma l'ho fatta proprio per suscitare orrore. Quella finale, dove il protagonista abbordato da un'adolescente disposta a tutto per due dollari di droga, la stringe a sé come a difenderla e a liberarla, vuole essere il grido che deve risvegliare tutta la nostra gente. Il crack sta ammazzando soprattutto i neri, sta distruggendo le nostre famiglie, cancellando intere generazioni"

e.l. - LUX marzo/maggio 1992