"Penso che quella di venir definito un
militante-regista nero-arrabbiato sia una delle altre caratterizzazioni
negative che vengono fatte di me. Quando si guarda alla storia di questo
paese gli americani bianchi dovrebbero essere molto grati che i neri non
sono arrabbiati come potrebbero essere... Sono un regista, quindi ho una
voce e la gente l'ascolta, questa è l'unica differenza".
Nelle mirate dichiarazioni rilasciate da
Spike Lee per l'uscita USA di
Mo' Better Blues è facile ritrovare la sua grinta di giovane
regista (Atlanta, Georgia 1957) e la sincera tensione espressiva del primo
vero autore di colore che il cinema americano di questi anni ci abbia consegnato.
La sua opera d'esordio She's Gotta Have It (Lola
Darling in bianco e nero) gli valse a
Cannes 86 il premio per la miglior regia e costituì il primo di
una serie di quadri, sulla realtà afro-americana, vivaci e originali:
a quella fresca commedia sull'intrigante sensualità femminile hanno
fatto seguito School Daze
(1988, inedito in Italia) e Do The Right
Thing, uno spaccato di intensità quasi documentaristica
sull'ineluttabilità della violenza nei contrasti razziali, del sofferto
albergare nella società_ nera delle anime di Martin Luther King
e di Malcom X.
Già al lavoro al suo nuovo progetto (Jungle
Fever, sul rapporto interrazziale tra un nero di Harlem ed un'italo-americana),
Spike Lee ci offre con questa sua quarta opera un' ulteriore conferma delle
sue doti:
Mo' Better Blues, mentre si immerge nelle calde sonorità_
del jazz di Charlie Mingus, Miles Davis, John Coltrane (Lee aveva pensato
inizialmente a A Love Surpreme come titolo del film!), scava nel
profondo di un divenire generazionale (e razziale) che solo nelle prove
della tenacia, dell'amicizia e dell'amore può sublimare un'idealità_
musicale e una saggezza esistenziale capaci di realizzare quell'amore supremo.
Bleek Gilliam (Denzel Washington) è un trombettista di grande talento,
di forti ambizioni (mira a forme musicali "magiche, mistiche, maestose"),
ma di eccessivo egocentrismo.
Sopravvaluta
il proprio carisma come leader della sua band, non si preoccupa di confondere,
nel dialogo sentimentale e nella passione dell'eros, le due donne della
sua vita, Indigo (Joie Lee, sorella del regista) e Clark, la bellissima
cantante interpretata da Cindy Williams. Sarà la violenza, sempre
ai margini della black-music, ad aprirgli gli occhi, a fargli scoprire
l'importanza della disciplina anche nell'ebbrezza della creazione artistica,
a fargli ritrovare, nell'amore di Indigo e nella nascita del figlio Miles
(!), quei valori di solidarietà, coerenza e moralità che
accomunano l'arte alla vita.
Mo' Better Blues
è una delizia per gli appassionati di musica,
di jazz in particolare (una chicca le immagini di repertorio discografico,
sui titoli di testa e coda), ma è in generale, per tutti gli amanti
del cinema di qualità, un appuntamento di grande fascino: scorrevole
e suggestivo, lo stile-Lee si delinea su una ricerca musicale preziosissima
(azzeccate le partiture di papà Bill Lee, superbe le esecuzioni
del quintetto di Branford Marsalis che doppia gli attori-musicisti), su
un taglio delle immagini incredibilmente raffinato (colori caldi e dorati,
atmosfere alla Douglas Sirk) e su una matura coscienza culturale espressa
con decisione e chiarezza.
"C'è un'altra cosa che mi irrita: si dice che io faccio
film sui neri. Nessuno chiederebbe a Fellini se farà mai un film
che non parli degli italiani, o a Woody Allen se parlerà mai di
qualcos'altro che degli ebrei americani ricchi di New York. Dove sta scritto
che l'esperienza dei neri non è un'esperienza universale?".
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