Intervista col vampiro (Interview With the Vampire)
Neil Jordan - USA 1994 - 2h 2'


    "Il Male è sempre molto più attraente del Bene. Anche l'Inferno di Dante è molto più divertente del suo Paradiso" - sono parole del regista Neil Jordan film successivo in archivio - " Anne Rice ha reinventato la storia dei vampiri, collocandola in diversi contesti che appartengono alla cultura europea. Mi ha interessato la questione morale, sono creature che vivono aldilà di ogni concetto di Bene e di Male, creature di grande solitudine. Anne Rice ha il mio stesso background, di irlandese cattolica, è stata educata dalle suore. Chi è stato educato con certi valori, cresce e magari non li ritrova nella società e da questo può nascere la solitudine"
Il fascino del male, l'angoscia della solitudine, la "claustrofobia" di un'immortalità scritta nel sangue, l'orripilante ritualità del vampirismo. I temi di
Intervista col vampiro (una storia in flashback, lunga duecento anni, per visualizzare le memorie di Louis, vampiro in perpetua crisi esistenziale) sono del tutto seriosi (niente a che vedere con il divertimento trasgressivo del polanskiano
Per favore non mordermi sul collo!, né con l'horror "di genere" di Dracula e simili) ed esplicitamente repellenti. Eppure la sala cinematografica si riempie ed anche il pubblico femminile resiste (pur con le palpebre intermittenti) al susseguirsi di colombe sgozzate, topi spremuti come limoni (in fondo il sangue in un bicchiere sembra vino!), vene squarciate, morsi risucchianti... Cosa produce il successo di un film così ostico, crudo nella rappresentazione di un universo macabro, freddamente estetizzante nella narrazione di un vivere "altro", quello dei vampiri, veri protagonisti di una vicenda in cui le tradizionali "vittime" non sono che casuali prede fugaci e in cui il dramma è quello dei non-morti, costretti a confrontarsi di continuo con la propria eternità, con la loro essenza di mostri: perversi, sensuali, "sanguigni"?
"Il dovere di un buon regista è quello di raccontare una storia e spero di esserci riuscito, rispettando le sfumature omosessuali del libro. Poi chiunque può trovarci la metafora che vuole, L'AIDS, lo star-system, il vuoto morale di certi uomini di potere". Certo la professionalità di Jordan non si discute (ricordate La moglie del soldato?) e così anche quella dei suoi straordinari collaboratori (Philippe Rousselot per la fotografia, Dante Ferretti per la scenografia, Sandy Powell per i costumi, tutti da oscar); aggiungiamo pure il richiamo divistico di Tom Cruise e del bravissimo Brad Pitt, ma personalmente non possiamo non sentirci fuori-sintonia, certo inorriditi (che strazio quel ditale adunco per intaccare le vene!) e consci della metafora malinconica di una vita inesorabilmente "perduta", ma in fondo stancamente distaccati da un'esperienza visiva che riesce a "disturbare", ma lascia lontana qualsiasi vera, profonda emozione.
Il giudizio critico si può attenuare solo compiacendosi dell'ironia metalinguistica del finale (il vampiro, precluso alla luce del sole, che riscopre il piacere dell'alba, come spettatore, di fronte ad uno schermo cinematografico) o riflettendo sulle contingenze creative del testo letterario da cui il film è tratto: l'autrice (e sceneggiatrice) Anne Rice scrisse il romanzo omonimo in un'angoscia tremenda, dopo l'improvvisa morte della sua bambina. In quest'ottica la tragica figura di Claudia, vampira-adolescente che soffre più per la propria immaturità di donna, che per la ineluttabile mostruosità del suo vivere, assume una valenza psicologica non banale. Ma sono percezioni "intellettuali" a posteriori, che la regia di Jordan non sa appropriatamente evidenziare e che possono incuriosire solo chi, dopo il nostro excursus al negativo, abbia ancora voglia di cimentarsi con il film più tetro che mai Natale cinematografico abbia offerto.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  1 gennaio 1995