...Un
po' romanzo di formazione, un po' racconto di avventure, un po' burlesque,
un film dove si respira cinema dal primo all'ultimo fotogramma... |
Roberto Nepoti -
La Repubblica |
Martin
Scorsese
scrive in 3D una bellissima lettera d'amore al cinema, senza perdere
neppure un istante levità, grazia e piacere per il racconto. L'invenzione
senza futuro dei
fratelli Lumière
è uno strumento 'meccanico' che può emozionare (quindi funzionare) solo se
si intreccia con la necessità, intima, di narrare noi stessi. Il cinema è
una chiave per riconoscerci e rimetterci a posto quando siamo 'rotti'. La
scena forse più impressionante di un capolavoro vero e proprio è quando
Hugo, accasciato su una poltrona, si abbandona al timore che il suo automa
non potrà mai funzionare. [..] Ma bellissimo,
Hugo Cabret, lo è dalla
trama principale alle sotto-storie che compongono tutte le età della vita.
Un godimento assoluto. |
Elisa Battistini -
Il
Fatto Quotidiano |
Per
Hugo Cabret,
in corsa con 11 candidature per l'Oscar,
Scorsese
ha utilizzato con grande abilità il 3D, lavorando su un doppio immaginario
d'epoca. La stazione centrale, nei cui recessi vive nascosto Hugo
impegnato a cercare di rimettere in funzione un misterioso automa scoperto
dal papà defunto, rievoca le pellicole francesi alla René Clair, con le
graziose fioraie, le anziane signore, i caffè, gli abbaini, la neve;
dentro questa cornice, ricreata in maniera meravigliosa dallo scenografo
Dante Ferretti con Francesca Lo Schiavo (meritatamente nominati), si
inserisce il motivo dell'omaggio affettuoso e nostalgico al cinema delle
origini, da Méliès a Douglas Fairbanks...
|
Alessandra Levantesi Kezich -
La Stampa |
Con
Hugo Cabret
Scorsese ha ritrovato la magia del suo cinema migliore (più
Toro Scatenato che
The Departed).
Ci voleva il 3D, ci voleva l'immersione in un passato mitologico come la
Parigi del 1931? Forse, ma questi sono solo strumenti. Il cuore del film
batte su due livelli. Uno è l'amore per Méliès, non solo un artista
sublime ma anche un uomo dolce e sfortunato [...] Ma l'altro livello,
assai più personale, è racchiuso nel personaggio di 'Hugo Cabret'. È un
orfano che vive nei meandri della stazione, come Quasimodo dentro
Notre-Dame [...] Asa Butterfield è vulnerabile e credibile nel ruolo di
Hugo, mentre Ben Kingsley sembra non aver atteso che interpretare Méliès
per tutta la vita. |
Alberto Crespi -
L'Unità |
Scorsese
non rinuncia a inquadrature originali e a lunghi e spettacolari piani
sequenza, ma qui siamo di fronte a un'opera che, pur intrisa di
tecnologia, emana il sapore antico delle storie che affascinano perché in
qualche modo sembrano senza tempo. Difficile dire se
Hugo Cabret
sia il capolavoro di Scorsese, tanto è differente dalle precedenti opere,
soprattutto le più recenti in cui rifletteva sul male, sul senso di colpa,
sulle contraddizioni della società. Di sicuro è l'opera più personale, nel
senso che vi si colgono insieme gli elementi essenziali del suo cinema:
invenzione, sperimentazione, suggestione, evocazione, ma anche ricerca e
memoria. Qui c'è tutto, tanto da toccare le corde giuste sia dei più
giovani che degli adulti ancora capaci di stupore e di commozione. |
Gaetano Vallini -
L'Osservatore Romano |
promo |
L'orfano Hugo Cabret vive nel suo nascondiglio segreto all'interno
della stazione di Parigi. Il ragazzo, oltre a coltivare il sogno
di diventare un grande illusionista, è deciso anche a portare a
termine un'importante missione: riparare il prodigioso automa
trovato da suo padre prima di morire. E quando incontra Isabelle,
nipote di un giocattolaio, potrà davvero affrontare un'affascinante
e misteriosa avventura... Un
po' romanzo di formazione, un po' racconto di avventure, un po'
burlesque, un film dove si respira cinema dal primo all'ultimo
fotogramma: un omaggio affettuoso e nostalgico alle origini, da
Méliès a Douglas Fairbanks, a René Clair. Un mix di fascinazione e
mistero, di ingenuità e commozione. |
cinélite
giardino
BARBARIGO:
giugno-agosto
2012
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