Lei (Her)
Spike Jonze - USA 2013 - 2h 6’
versione originale sottotitolata

miglior sceneggiatura originale


  C'era una volta uno scultore di nome Pigmalione, che modellò una statua così incredibilmente bella da innamorarsene. Tanto da implorare Afrodite di dare vita a quella creatura inanimata per poterla sposare. La storia, resa immortale dalle 'Metamorfosi' di Ovidio, la conosciamo tutti, anche grazie alla rielaborazione di George Bernard Shaw. Ma oggi le cose vanno diversamente. In tempi di realtà virtuale e intelligenza artificiale, il mito dell'incontro con una bellezza così perfetta da sfiorare la divinità e dunque il mistero, l'alterità più assoluta, si è ribaltato nel suo opposto. Il massimo dello stupore, e della seduzione, non deriva più dalla differenza, ma dall'identità. E dalla performance. L'essere ideale, in altre parole, non è più così immensamente diverso da noi da soggiogarci, ma così incredibilmente vicino da conquistarci proprio perché interpreta i nostri desideri più segreti meglio e soprattutto prima di noi. Insomma è una nostra emanazione. Un riflesso - arricchito - della nostra personalità, capace di ammaliarci rielaborando in forma imprevedibile tutto ciò che è già dentro di noi. Messa così la prospettiva è abbastanza spaventosa, tanto che vedendo Her, in italiano Lei, si finisce per pensare che la fiaba geniale di Spike Jonzefilm precedente in archivio abbia a che vedere col mito di Narciso più che con quello di Pigmalione. O con i meccanismi del transfert, che portano il paziente in analisi a provare qualcosa di molto simile all'amore per il suo analista. Ma la grandezza di Her, ciò che lo rende così chiaro e riconoscibile, è la sua capacità di condensare tutto questo in una realtà molto quotidiana. La storia d'amore tra Theodore (un Joaquin Phoenix al di là di ogni elogio) e quella voce femminile che si autobattezza Samantha (nel doppiaggio, Micaela Ramazzotti), è perfetta proprio perché Samantha non esiste. O almeno non ha un corpo. (...) Il tutto in un vicino ma vago futuro pervaso di leggerezza e umorismo. Addio scenari da incubo di tante cine-utopie. Nella Los Angeles supercool di Jonze tutto è tenue, colorato, amichevole - e un po' vano. La vera vita resiste da qualche parte, ma sfugge tra le dita di questa umanità disumanizzata dalle sue stesse conquiste. Nessuno va più in auto. Nessuno alza la voce. Nessuno è davvero felice, forse. Ma ha mille mezzi - informatici - a disposizione per provarci. Non è fantascienza, è il nostro presente, o una sua versione appena esagerata. Dunque ancora più chiara. E illuminante.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

  Può un film di fantascienza essere una storia d'amore, la più innovativa, struggente e liquida degli ultimi anni? Può un film darsi del 'Lei' ('Her') e, insieme, dare del tu alle gioie e dolori del nostro (soprav)vivere 2.0? Può un film, insomma, renderci partecipi e appassionati della relazione amorosa tra un uomo e un sistema operativo, che è solo voce in uscita dal pc o dallo smartphone? Può, a patto che a scriverlo e dirigerlo sia Spike Jonzefilm precedente in archivio, a interpretarlo Joaquin Phoenix e - nella versione originale - Scarlett Johansson, che con quell'ugola può tutto (migliore attrice al Festival di Roma). Her ha vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, soprattutto, Her ha l'intenzione, l'ambizione e la capacità di riadattare il celebre memento di Marshall McLuhan, 'il medium è il messaggio': non che sia tramontato, basti compulsare Twitter e Facebook, ma il genietto Spike ha l'ardire di guardare non solo all'oggi (il futuro realizzato di McLuhan), ma al domani, meglio, il di qui a qualche ora. Ebbene, ci dice Her, 'il medium è il destinatario'. (...) Tutti parlano da soli, con nessuno, eccetto l'OS1, e non che Theodore non provi a invertire la rotta: appuntamento al buio con Olivia Wilde, che proprio da buttare non è, ma non va. C'è solo Samantha, ma fino a quando? Altri interrogativi sono meno diegetici, ma più ficcanti: chi conferma la liceità di una relazione virtuale, basta la convalida sociale, come nel caso di Theodore? Ancora, questi avveniristici 'compagni di vita' sono una mera protesi del nostro Ego, ci possiamo fare l'amore o ci masturbiamo solo? E, infine, esiste una vita vissuta e una digitalmente esperita o coincidono? Quesiti da stroncare Bauman, da ridurre ad archeologia sentimentale i barthesiani Frammenti amorosi, da gettare sul nostro immediato futuro ombre in codice binario: mentre gli Arcade Fire suonano, Spike Jonze canta un umanissimo e umanista 'De profundis' all'amare come l'abbiamo conosciuto e lo stiamo disconoscendo. Senza apologhi morali, senza accelerare sulla distopia, piuttosto, il regista entra nella mente dell'uomo e nel cuore della macchina e prova a eludere le differenze: chi amiamo quando ci innamoriamo del computer, la nostra proiezione, la nostra disperazione o davvero amiamo un altro da noi? Dannato Jonze, che con la sua camera unisce i puntini di quel che si sta formando nella società per prefigurarci quel che saremo a breve: merita tutti i nostri applausi e, se volete, esami di coscienza.

Federico Pontiggia - Il Fatto Quotidiano

      


promo

Los Angeles, in un futuro non troppo lontano. Theodore è un uomo sensibile e complesso che si guadagna da vivere scrivendo lettere personali e toccanti per conto di altri. Depresso per la fine del suo matrimonio, Theodore scopre la possibilità di una nuova relazione amorosa grazie all'"incontro" con Samantha, un nuovo e sofisticato sistema operativo progettato per soddisfare ogni sua esigenza e che promette di essere uno strumento unico, intuitivo e ad altissime prestazioni. Sofisticatissimo esempio di intelligenza artificiale, Samantha è affettuosa e empatica e ben presto rivela anche una certa indipendenza di giudizio, uno spiccato senso dell'umorismo, la capacità di andare al nocciolo dei problemi e una gamma sempre più complessa di emozioni. Dal momento in cui inizia a esistere, Samantha progredisce rapidamente, di pari passo col suo rapporto con Theodore. Da sua assistente, si trasformerà gradualmente in amica fidata, confidente e - alla fine - in qualcosa di molto più profondo... Jonze consegna un pamphlet delicato sull'assenza che ci riguarda non domani ma da oggi, immersi come siamo nella vita della Rete fintamente collettiva. Un'incantevole commedia sentimentale e una riflessione non banale sull'essenza di noi stessi. Se, sentimentalmente parlando, ci lasciamo sedurre dal fatto che «l’innamoramento è una forma di pazzia socialmente accettabile», sul versante cinematografico possiamo anche cedere alla conclusione che siamo di fronte a un sorprendente capolavoro.

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 LUX - aprile-maggio 2014

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