Fuocoammare
Gianfranco Rosi - Italia/Francia 2016 - 1h 48’

BERLINO 66 - Orso d'oro

    Prendi un Festival da sempre attento alle questioni sociali, una Presidente della Giuria, Meryl Streep, senz'altro non di destra, in un paese, la Germania, dove la questione immigrazione è al centro del dibattito civile e politico; l'Orso d'Oro a Francesco Rosi per il docufilm su Lampedusa era un trofeo annunciato. Ma questa volta non senza merito.
Per tutta la prima parte, si fa fatica a capire. Ci troviamo di fronte a due film le cui scene si alternano con ritmo regolare. Il primo più strettamente documentario ci mostra tutte le fasi del salvataggio dei naufraghi da parte della nave anfibio San Marco: lo sbarco, l'identificazione, i trasferimenti; ci mostra gli affamati, gli stremati, gli svenuti, come mai avevamo visto negli scarni reportage dei telegiornali. Ci sono primi piani, a volte intollerabili, di questa umanità mezza morta di freddo e di spavento, e ciononostante divisa in classi (chi paga di più viaggia in coperta, gli altri giù nella stiva). Incredibili le immagini di questi fantasmi avvolti nei teli termici giallo lunare come la carta dei cioccolatini. Babele di lingue nei cellulari, il football come elemento unificante, l'angosciante rap del nigeriano (una delle scene più belle) che rievoca a tempo di musica il viaggio prima del mare: il deserto, il carcere, il ricatto degli scafisti.
Nell'altra parte, quella più fiction, recitata, c'è la vita degli abitanti dell'isola, che scorre in parallelo apparentemente ignara se non indifferente a tutto questo. C'è un protagonista, Samuele, un ragazzetto sui 10-12 anni, l'amico Mathias, la sua ordinaria famiglia,
pescatore il padre, casalinga la zia Maria. All'inizio si fa fatica a capire cosa c'entri l'alternanza di questi gesti normali col dramma dei migranti. Perché mostrarci questa infanzia uguale a tutte le altre, di oggi, di ieri e di altrove: la gara con la fionda, l'invidia del motorino, la malavoglia a scuola, la difficoltà a parlare l'inglese o a sopportare il mal di mare. Con la colonna sonora di un dj di una radio locale, si susseguono altri gesti ordinari, la mamma che fa i letti, il bacio alla foto di famiglia, la preghiera a Padre Pio "dammi un po' di pace".
Qui il disegno di Rosi viene alla luce: è proprio questa normalità, questa quotidianità, questa relativa dolcezza e banalità del vivere, che è crudelmente negata al popolo dei barconi. In questa ottica tanti piccoli episodi della parte narrata assumono un significato.
Non sarà, quell'occhio pigro di cui soffre Samuele, metafora della pigrizia con cui l'Europa guarda a Lampedusa? E il mal di mare e le crisi d'ansia del ragazzino (figlio di marinai e quindi in teoria esente per dna da questi mali), non saranno forse il contrappunto alla tragedia di quest'altri che in mare vengono letteralmente buttati? E ancora, cosa sarà mai la difficoltà del bambino ad imparare l'inglese di fronte al dramma di chi, in una babele di lingue indifferenti e ostili, è stato costretto a vivere per settimane o mesi? Oppure prendiamo il gioco del cactus: perché il ragazzino simula continuamente di sparare con un immaginario fucile o tira con la fionda ai cactus che poi correrà a medicare? Non sarà Samuele lo specimen inconscio dell'europeo incerto tra il rigetto anche violento e l'accoglienza?

Ma è con la scena nello studio del dottor Pietro Bartolo, medico dell'isola, che i due film, che finora erano avanzati a zig-zag, superandosi e sovrapponendosi, finalmente si uniscono e partono insieme verso le sequenze finali. Bartolo è il Caronte di questo inferno che è Lampedusa, lui, sul posto da trent'anni, stabilisce chi è vivo e chi è morto, chi va al CIE e chi all'ospedale. Lui mostra alla donna incinta l'ecografia dei due gemelli che ha in pancia, e a noi sul computer le migliaia di foto di chi non ce l'ha fatta, dei corpi affamati, disidratati, bruciati dal kerosene. È lui (non per niente sul palco a Berlino col Golden Bear in mano) il protagonista morale del film, che qui finalmente arriva al cuore dello spettatore. Dopo seguiranno le atroci sequenze dei morti asfissiati nella sentina del barcone, ingiustamente criticate dai falsi moralisti dell'immagine.
Al contrario di
Sacro GRA, immeritato vincitore a Venezia 2013, dove le varie vicende giravano in circolo senza trasmettere soverchie emozioni, Fuocoammare raggiunge il suo obiettivo. Questa è Lampedusa, questa è l'Italia, questa è l'Europa: là fuori, poco oltre il raggio d'azione dei pescherecci, un altro mondo preme e grida e chiede di essere accolto!

PS: Onore e gloria al dottor Bartolo e a tutti coloro che sull'isola fanno qualcosa per i migranti. Ma da qui al Premio Nobel per la Pace a Lampedusa ce ne corre!

Giovanni Martini - febbraio 2016 - pubblicato su MCmagazine 39

 

promo

Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell'epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l'invisibile e le sue storie. Seguendo il suo metodo di totale immersione, Rosi si è trasferito per più di un anno sull’isola di Lampedusa facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d’Europa raccontando i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti. Da questa immersione è nato Fuocoammare. Racconta di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un’isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi... Rosi racconta una delle più grandi tragedie umane del nostro tempo mostrando ciò che resta invisibile all'occhio dei media. Confine reale e simbolico di due mondi in rotta di collisione, l'isola ci viene mostrata attraverso lo sguardo di Samuele, il cui occhio pigro rimanda alla miopia dell'intera Europa.


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