Raccontare
la storia di un film che racconta di un film che racconta di altri film, è una
procedura che il recensore decide di abrogare unilateralmente e senza appello.
Per vari motivi. Primo perché non serve molto a far capire che film è
Full Frontal,
l'ultima fatica di
Steven Soderbergh
(a Venezia 2002 in Controcorrente). Secondo perché è una impresa ingrata:
provateci voi, se ci riuscite, dopo averlo visto, a raccontarlo a qualcun'altro
che non lo ha ancora fatto.
Sapevamo già che a dispetto del suo titolo, non conteneva una nudità frontale di
Julia Roberts (trovata pubblicitaria troppo smaccata per essere credibile ancor
prima di essere smascherata), sapevamo anche che la critica e la stampa
americana avevano arricciato il naso di fronte ad una operazione che sembra
riportare il suo autore alla tendenza cerebrale in cui stagnava prima del grande
successo di film come
Erin Brockovic
e Traffic.
Le cose non stanno esattamente così. Nel raccontare un mondo vacuo,
autoreferenziale, istericamente autoindulgente e odiosamente convenzionale,
Soderbergh non ha proprio l'aria del moralista. Il girotondo di personaggi che
orbitano tra il jet set californiano della mecca del cinema, la stampa
altolocata e un nugolo di gregari, sceneggiatori, massaggiatrici, psicoterapeuti
e veterinari, è schizzato in una serie di strip video come in un fumetto dal
retrogusto solo leggermente agro.
Più che una critica dell'industria e del mondo che sogna e produce i popcorn
movie, sembra uno studio su una commedia in DV - gran parte del film è girato
con una videocamera che moltissimi potrebbero acquistare senza eccessivi
risparmi - in cui la sperimentazione tecnologica è meno interessante della
meticolosa ricerca di gag e della brillantezza del copione (di Colemqan Hough,
al suo esordio su grande schermo) che strappa sorrisi con studiata regolarità.
Tra animali domestici che si avventano su biscotti pieni di hashish e colloqui
di lavoro che includono molestie sessuali, un irresistibile e grottesco Hitler
sulla scena di una piece di avanguardia e la Roberts e Brad Pitt e David
Duchovny che si lavano la coscienza facendo la caricatura dei divi che
effettivamente sono, il film accumula a velocità di crociera una quantità
regolamentare di bozzetti digitali puntellati da battute da ricopiare al volo ("Confondi
le stravaganze di una persona con lo stupore di uno stuolo di labrador che
fissano un Picasso"). Ecco, stravaganza è una parola che somiglia molto al
film. Chi cerca in
Full Frontal
una conversione di Soderbergh al credo
danese del gruppo "Dogma", fondamentalista e drammatico, rimarrà deluso. Ma chi
non sa cosa cercarvi, ci troverà qualcosa di arguto e gradevole.
|