Suonare o vivere? Essere o non essere? La bella musica risveglia i sentimenti, ci porta in un tour scosceso di emozioni e aiuta il buon cinema a coltivare un plusvalore di sguardi, sospiri e freudiane raffinatezze. Due titoli sono imparentati con questo film: Quartetto Basileus di Carpi su un ensemble che cambia un elemento e va in crisi; Prova d'orchestra di Fellini sul miracolo e il mistero dell'armonia creati dalla musica. Come dice l'opera prima di Yaron Zilbermann, trattasi di "Una fragile armonia", pronta ad essere contraddetta dal mondo reale che con le sue note stonate combatte contro l'universo compiuto della musica. Specie col Quartetto in Do diesis min. op. 31, il preferito di Beethoven, che esigeva non ci fossero pause nei sette movimenti della partitura a rischio che gli strumenti (due violini, la viola e il violoncello) perdessero, in 40 minuti, l'accordatura. Metafora chiara che investe il concerto del 25esimo compleanno di un quartetto nuovayorkese, quando uno di loro annuncia di soffrire di Parkinson, due coniugi litigano e la figlia della viola se la intende col primo violino. Girato in soli 27 giorni in luoghi radical chic, Metropolitan e Frick Collection, in lungo, il film ha un perfetto impianto narrativo e un crescendo emotivo in balia di affetti contraddittori nel contagio dei sentimenti che si accavallano. Il regista, nonostante Ludwig non ammetta pause, valorizza bene silenzi, interrogativi, suspense della musica che dovrebbe arginare i colpi di testa dei musicisti con tutto il loro ben noto corredo di baci e rivalità. La psicologia è di un film d'essai allargato, uno di quelli che danno la soddisfazione di scoprire che ci sono ancora quelle doti narrative affabulatorie di storie psicologiche da romanzo ottocentesco, di parole mai vane, dove ogni frase rimbalza sul discorso comune a tutti. I favolosi attori meritano una lode particolare: l'immenso Philip Seymour Hoffman, il nevrotico Christopher Walken, la gentile ma forse no Catherine Keener e il meno noto ma il più bravo ed introverso e seduttivo, Mark Ivanir. |
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera |
Invidie, gelosie, rancori, tradimenti. E per finire il veleno più insidioso di tutti. Quel miscuglio di convenienza pratica e spinta morale che ci rende capaci di convivere con tutto questo soffocandolo in fondo al nostro Ego, fingendo che i problemi non esistano. Fino a quando non esplodono. Il bello della vita è che a suo modo è molto democratica. Gli ingredienti di base sono sempre gli stessi, su qualsiasi livello sociale o culturale. Cambiano solo le forme in cui si esprimono, e neanche molto. Vedere per credere questo film molto raffinato, tutto girato nella New York più intellettuale, i cui protagonisti sono membri di un celebre quartetto musicale (ispirato in parte, dice il regista, al Quartetto Guarneri e al Quartetto Italiano). Quattro personaggi che hanno trascorso la vita insieme calibrando ogni nota, ogni minimo accento personale in nome della superiore armonia espressa dalla loro musica. Una simbiosi profonda che non può non investire le sfere più intime di ognuno di loro. Come scopriranno quando il più anziano del gruppo, il violoncellista e neovedovo Peter Mitchell (un sublime Christopher Walken, mai visto esprimere più emozioni con minor sforzo), si vedrà costretto a deporre l'archetto per una malattia che non perdona. Il Parkinson. Niente paura però. Non siamo in una serie tv. Siamo in un film impregnato di vita e cultura newyorkesi, esordio di un documentarista premio Oscar, Yaron Zilberman, che si apre citando T.S. Eliot e si chiude sulle note del quartetto opera 131 di Beethoven. Un film che non si vergogna, e perché dovrebbe, di convocare come comprimari pilastri della scena cittadina come Sotheby's, il Metropolitan, la Frick Collection (mai filmata prima, pare). Dando al tutto un'autenticità che insieme alle eccellenti prove dei protagonisti rende particolarmente intensa e a tratti memorabile, malgrado un paio di stecche, questa storia che non sarebbe in sé originale. Salvo l'accuratezza davvero notevole dell'ambientazione e la profonda verità di accenti che esprime. Perché mentre la malattia finisce presto sullo sfondo, in primo piano crescono le reazioni incontrollate degli altri membri del quartetto. (...) Qua e là Zilberman alza fin troppo il tiro, qualcuno dirà che ci voleva Bergman, i cinici che è una soap per intellettuali. Ma è raro vedere film più credibili ambientati in mondi così chiusi. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Sulle segrete tensioni che anni e anni di forzata consuetudine possono creare fra i componenti di un quartetto d'archi, Fabio Carpi aveva realizzato nel 1982 un bel film, Il quartetto Basileus, dove la morte di uno dei componenti scatenava distruttive dinamiche di gruppo. Anche in Una fragile armonia è un fattore esterno - l'insorgere del Parkinson nel violoncellista Christopher Walken, il più anziano dei quattro - a provocare una catena di smottamenti psichici che conducono sull'orlo di una rottura, ma alla fine l'amore per la musica prevarrà sulle dissonanze emozionali. Del crepuscolare film Yaron Ziberman è esile e prevedibile la tessitura drammaturgica; mentre sono fini le osservazioni sulla natura del quartetto, con le sue ben definite voci strumentali che giocano a rincorrersi, intrecciarsi, annullarsi l'una nell'altra al servizio del puro disegno musicale; e sono eccellenti gli interpreti, soprattutto il dolente Walken e il secondo violino Philip Seymour Hoffman. Quando poi risuonano le note del quartetto in do diesis minore op.131 di Beethoven, scelto da Walken per congedarsi da pubblico, ogni cosa si solleva sul piano del sublime. |
Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa |
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Peter (Christopher Walken), Robert (Philip Seymour Hoffman), Juliette (Catherine Keener) e Daniel (Mark Ivanir) suonano il violino insieme da una vita, condividendo la passione per la musica e calcando le scene dei migliori palcoscenici di New York. Stanno per celebrare il venticinquesimo anno di attività quando la notizia che a Peter, da sempre leader del quartetto, è stato diagnosticato un male incurabile si ripercuote sulle esistenze degli altri. Per la prima volta in tanti anni di carriera, Robert e Daniel entrano in competizione contendendosi il posto che sarà lasciato vuoto dall'amico mentre il matrimonio di Robert e Juliette entra in profonda crisi con la scoperta del tradimento di lui e della relazione della loro testarda figlia Alexandra (Imogen Poots) con Daniel... Suonare o vivere? Essere o non essere? La bella musica risveglia i sentimenti, ci porta in un tour scosceso di emozioni e aiuta a coltivare un plusvalore di sguardi, sospiri e freudiane raffinatezze. Cinema ben scritto, con ottimi interpreti, senza troppi scossoni estetici, forse un po’ facile nelle scelte narrative, ma è raro vedere film più credibili ambientati in mondi così chiusi. Quando poi risuonano le note del quartetto di Beethoven, scelto per congedarsi da pubblico, ogni cosa si solleva sul piano del sublime. |
LUX - settembre-ottobre 2013 |