Il
film di Krzysztof
Kieslowski era particolarmente atteso perché viene
a chiudere la trilogia del maestro polacco, cadenzata dai colori della
bandiera francese e liberamente ispirata ai principi di liberté,
égalité e fraternité. Chi
è rimasto ammaliato dal fascino maestoso e introspettivo di Film
Blu (ricordate il tormento di Juliette Binoche sul contrappunto
del Concerto per l'Europa, scritto a due mani col marito scomparso?)
o si è lasciato sfuggire l'ironia sottile di Film
Bianco (davvero spiazzante, al confronto, nella sua contraddittoria
ricerca delle "pari infelicità"), ora si trova di fronte
ad un registro stilistico ancora diverso.
Film rosso
ha l'andamento lento e frammentato di una fraternità esistenziale
sublimata nella capacità di compromettersi con il destino. Dopo
la Francia (sentimentale!) e la Polonia (degradata!) stavolta siamo
nella inappuntabile (?!) Svizzera, a Ginevra: c'è Valentine (Irène
Jacob), una modella che fa amicizia con un misantropo giudice in pensione
(Jean-Louis Trintignant), il quale passa il suo tempo intercettando
le telefonate del vicinato; c'è il fidanzato di Valentine che
la tormenta
dall'Inghilterra con la sua pressapochistica gelosia, c'è un
giovane magistrato che viene abbandonato dalla sua ragazza,
c'è uno strana affinità nei meccanismo del fato che accomuna
quest'ultimo con il vecchio...
Ancora il caso "giudice" supremo del vivere, ancora esistenze
diverse che si fondono e si confondono l'un l'altra. Anche il distaccato
Kieslowski, dopo un folgorante
inizio "telematico" e l'abituale sequenzialità di segnali
"rivelatori" (qui i cocci di vetro oltre alle doverose evidenziazioni
in rosso: il sangue del cane ferito, il manifesto pubblicitario, la
tenda della doccia, le ciliege della slot-machine, gli arredi
del teatro...), non resiste al traboccare delle coincidenze "conclusive"
che suggellano, in un finale in bilico tra surplus narrativo e compiutezza
fatalistica, l'iter esistenziale dei vari protagonisti di tutti capitoli
di Trois Couleurs.
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