Fearless - Senza paura
Peter Weir - USA 1993 - 2h 1'


   Fearless (Senza paura) è il nuovo film di Peter Weir, regista australiano autore di film memorabili nello scavare nell'ombra dell'animo umano, esposto ora alla minaccia ancestrale della natura (Picnic ad Hanging Rock, L'ultima onda), ora all'imprevedibile reazione della propria sensibilità di fronte agli stimoli culturali di una società lacerata (Gli anni spezzati, L'attimo fuggente). Questo nuovo lavoro scava ancora una volta in entrambe le direzioni, mettendosi drammaticamente a confronto con l'essenza del vivere e con il mistero della morte.
Max Klein (Jeff Bridges) è un aitante architetto miracolosamente sopravvissuto ad un disastro aereo. Le prime, straordinarie sequenze ce lo presentano mentre guida un gruppo di sopravvissuti attraverso un campo di granturco: ne escono come da una giungla d'incubo, passano accanto ai tronconi del velivolo distrutto, si incontrano con i primi soccorritori. E mentre Max vaga stralunato, come un angelo della provvidenza tra la catastrofe, lo sguardo della macchina da presa s'allarga sui campi "falciati" dall'impatto e la panoramica dall'alto visualizza in tutta la sua concretezza l'entità della tragedia.
Un incipit di grande effetto in cui la parabola narrativa di
Fearless è praticamente già conclusa: Max è un uomo nuovo che ha visto in faccia la morte e che non può continuare a vivere come prima nell'ipocrisia del quotidiano. Il suo ruolo di "eroe" non lo tocca, si trova a disagio nei cliché borghesi del suo ambiente, non comunica più né con la moglie (Isabella Rossellini) né col figlio. Le sue attenzioni si riversano su Carla, un'altra sopravvissuta (ma che nella tragedia ha perso il suo bambino), e con lei prova a ricostruire un senso del vivere in cui i due credono di poter viaggiare come fantasmi attraverso gli eventi, liberi di apprezzare solipsisticamente "l'odore, il sapore, la bellezza della vita", invulnerabili al pericolo ed alle preoccupazioni poiché "superare la paura dà euforia, diventa una droga".
Weir, in quanto australiano costretto all'esperienza continua del trasporto aereo, ha apertamente dichiarato il suo personale coinvolgimento emotivo nell'affrontare una simile tematica ("volare è una di quelle rare situazioni della vita moderna in cui siamo costretti a prendere coscienza della nostra mortalità"), ma al suo sforzo di coniugare, in feconda riflessione, scetticismo e fede, razionalità e istinto, arte e misticismo non sempre corrisponde una dinamica cinematografica convincente. Eppure, tra tanto cinema di banali certezze, ben venga l'irrisolutezza di un'opera come questa che, attraverso, le contraddizioni di uno stile cinematografico non perfetto, prova a rispondere, con sofferta sincerità, alle contraddizioni del vivere, ben più imperfetto, di questo XX secolo. Almeno per una volta Max e Carla arrivano a capire meglio se stessi e sanno darsi fiducia reciproca: "Gli Stati Uniti sono finiti, ma tu ed io siamo in splendida forma!"

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  5 maggio 1994