Fearless
(Senza paura) è il nuovo film di Peter
Weir, regista australiano autore di film memorabili nello scavare
nell'ombra dell'animo umano, esposto ora alla minaccia ancestrale della
natura (Picnic ad Hanging Rock,
L'ultima onda),
ora all'imprevedibile reazione della propria sensibilità di fronte
agli stimoli culturali di una società lacerata (Gli
anni spezzati, L'attimo
fuggente). Questo nuovo lavoro scava ancora una volta in entrambe
le direzioni, mettendosi drammaticamente a confronto con l'essenza del
vivere e con il mistero della morte.
Max Klein (Jeff Bridges) è un aitante architetto miracolosamente
sopravvissuto ad un disastro aereo. Le prime, straordinarie sequenze ce
lo presentano mentre guida un gruppo di sopravvissuti attraverso un campo
di granturco: ne escono come da una giungla d'incubo, passano accanto ai
tronconi del velivolo distrutto, si incontrano con i primi soccorritori.
E mentre Max vaga stralunato, come un angelo della provvidenza tra la catastrofe,
lo sguardo della macchina da presa s'allarga sui campi "falciati"
dall'impatto e la panoramica dall'alto visualizza in tutta la sua concretezza
l'entità della tragedia.
Un incipit di grande effetto in cui la parabola narrativa di
Fearless
è praticamente già conclusa: Max è un uomo nuovo che
ha visto in faccia la morte e che non può continuare a vivere come
prima nell'ipocrisia del quotidiano. Il suo ruolo di "eroe" non
lo tocca, si trova a disagio nei cliché borghesi del suo ambiente,
non comunica più né con la moglie (Isabella Rossellini) né
col figlio. Le sue attenzioni si riversano su Carla, un'altra sopravvissuta
(ma che nella tragedia ha perso il suo bambino), e con lei prova a ricostruire
un senso del vivere in cui i due credono di poter viaggiare come fantasmi
attraverso gli eventi, liberi di apprezzare solipsisticamente "l'odore,
il sapore, la bellezza della vita", invulnerabili al pericolo
ed alle preoccupazioni poiché "superare la paura dà
euforia, diventa una droga".
Weir, in quanto australiano costretto all'esperienza continua del trasporto
aereo, ha apertamente dichiarato il suo personale coinvolgimento emotivo
nell'affrontare una simile tematica ("volare è una di quelle
rare situazioni della vita moderna in cui siamo costretti a prendere coscienza
della nostra mortalità"), ma al suo sforzo di coniugare,
in feconda riflessione, scetticismo e fede, razionalità e istinto,
arte e misticismo non sempre corrisponde una dinamica cinematografica convincente.
Eppure, tra tanto cinema di banali certezze, ben venga l'irrisolutezza
di un'opera come questa che, attraverso, le contraddizioni di uno stile
cinematografico non perfetto, prova a rispondere, con sofferta sincerità,
alle contraddizioni del vivere, ben più imperfetto, di questo XX
secolo. Almeno per una volta Max e Carla arrivano a capire meglio se stessi
e sanno darsi fiducia reciproca: "Gli Stati Uniti sono finiti,
ma tu ed io siamo in splendida forma!"
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