Exils
Tony Gatlif - Francia 2004 - 1h 45'

Cannes 57°: palma miglior regia

da Il Manifesto (Antonello Catacchio)

     Gli appassionati di cinema conoscono Tony Gatlif come narratore gitano (ultime opere Vengo e Swing). E lo ha sempre fatto a ragione, visto che si tratta forse dell'unico regista rom. Con Exils invece Michel Dahmani (questo il vero nome di Gatlif, madre rom e padre algerino) sembra voler spingere la ricerca delle radici e del proprio essere ancora più a fondo, con direzione ultima l'Algeria, sua terra d'origine, che non aveva più rivisto da moltissimi anni. Tutto comincia in un appartamento parigino. Abitato da Zano e Naima, amanti e innamorati, smarriti però di fronte a quella città sterminata che sta fuori dalla finestra. Lui è un pied noir, figlio di francesi che hanno dovuto andarsene quando l'Algeria da territorio francese è diventata indipendente. Lei invece è beur, figlia di immigrati algerini che hanno rotto i ponti con il proprio passato e la propria cultura, al punto che non ha mai neppure imparato l'arabo. Sono giovani e impulsivi, non hanno soldi, neppure sogni, ma decidono di andarsene, verso quella loro nebulosa terra d'origine in cerca di qualcosa che forse neppure sanno cosa sia. Bussola verso Sud quindi, per rifare a marcia indietro quella strada che ancora adesso percorrono a migliaia in cerca di una possibilità di vita. E infatti li incontrano quelli che puntano verso la ricca Europa. Sono clandestini, talvolta intimiditi, altre volte solidali. E per quanto squattrinati trovano sempre qualcuno più a secco di loro. Non sempre cortese. Ma diventano anche messaggeri con bigliettini da consegnare una volta arrivati a destinazione. La variante musicale di Gatlif (che ha composto anche le musiche) affiora in Spagna quando il flamenco domina la scena, quando il tarib, il piacevole sconvolgimento determinato dalla musica, spinge Naima a una scappatella. E sono baruffe. Ma lo sconvolgimento vero è quello algerino. Sia perché la città è appena stata squassata da un terremoto che ha ridisegnato paesaggio e costruzioni, talvolta accartocciate su se stesse, sia perché lì stanno valori altri e contraddittori. I giovani vorrebbero avere un futuro, gli anziani sono aggrappati al passato, armati di pregiudizi che vengono scagliati come pietre su Naima, che veste in base al clima meteorologico e non sulla base delle indicazioni religiose. La loro ricerca produce effetti diversi, compresa una transe musicale insostenibile per Naima (che crea smarrimento anche nello spettatore per la sua durata infinita). Premio per la miglior regia al festival di Cannes, il film respira grazie al formato panoramico, agli scenari che cambiano, come il clima e le lingue, pedinando Romain Duris e Lubna Azabal nei panni dei due protagonisti. Per gli estimatori di Gatlif sarà una piccola grande sorpresa assistere al suo tentativo di far emergere la sua componente maghrebina, senza per questo soffocare la parte rom. Anzi il film gioca proprio sull'equilibrio tra queste due componenti, anche perché essere rom in Algeria significa essere perfettamente integrati in quella realtà. E forse era proprio questo il sogno da inseguire, la vera meta da raggiungere.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     A partire dalla scena d'apertura, ci sono in Exils alcune bellissime inquadrature che, a Cannes, devono avere persuaso Quentin Tarantino a premiare Tony Gatlif con il trofeo per la migliore regia. Il resto è praticamente la "summa" della poetica del cineasta gitano: una sorta di remake di Gadjo dilo, lo straniero pazzo (1997) con tutte le virtù e i (non troppi) difetti del cinema di Gatlif. Zano e Naima si amano, e sono contenti. Un giorno lui propone a lei di mettersi insieme "on the road": meta Algeri, sua terra d'origine (la stessa del regista), passando per l'Andalusia e il Marocco. Il film è il racconto di una ricerca; ma fatta col cuore leggero, tra incontri pittoreschi al ritmo della technomusic e del flamenco. Non senza, però, qualche momento drammatico: come quando Zano ritrova le sue radici familiari, mentre Naima continua a sentirsi straniera ovunque; o nella sequenza della "trance" finale. Un road-movie sull'identità colorato e sensuale, al confine tra documentario (qual era il film forse più bello di Tony, Latcho drom) e cinema narrativo, col fascino del vagabondaggio e della scoperta. Quel che c'è di debole, invece, riguarda la trama esile e la stringatezza dei dialoghi, cose rispetto alle quali l'autore preferisce lasciar errare il proprio sguardo benevolo su corpi e paesaggi; peccato che la ricerca dell'essenziale posi anche su cose la cui rappresentazione su uno schermo rischia di risultare, alla fine, troppo elusiva.

LUX - dicembre 2004