Dopo
la rinfrescante pausa di
No sul
ritorno alla democrazia in Cile, con
El Club
Pablo Larrain torna alle lugubri atmosfere di
Tony Manero
e di
Post Mortem,
con questo sferzante attacco agli abusi e all’ignavia della chiesa
cattolica.
Sulla desolata costa meridionale del Cile, in una insignificante
cittadina a strapiombo, La Boca, vive una strana comunità di anziani
sacerdoti, qui relegati dalla chiesa cilena in una specie di residenza
forzata. Si sono macchiati di gravi peccati, soprattutto pedofilia, ma
anche traffico di neonati e collusione coi delitti della dittatura di
Pinochet. Sospesi evidentemente a divinis, accuditi da una specie di
altrettanto misteriosa perpetua, i membri di questo “club” non
pregano, non dicono messa, mangiano, guardano la TV, non si mescolano
coi locali se non per le esigenze di un loro molto mondano hobby:
l’allevamento di un levriero da competizione che dovrebbe garantire
futuri ricchi introiti.
L’apparente tranquilla routine della strana comunità giunge
tragicamente al termine con l’arrivo di un altro penitente, Padre
Lazcano. Non appena, infatti, il nuovo ospite entra nella casa, ecco
che inopinatamente una della sue vittime, un pescatore locale
soprannominato Sandokan, inerpicandosi su per la salita e urlando
perché tutto il paese senta, snocciola con dovizia di particolari il
rosario delle violenze e umiliazioni da lui bambino subite ad opera
del nuovo arrivato.
Per tutta risposta il prete prende una pistola e si uccide. Ecco
allora entrare in scena, inviato da Santiago per capire, mettere
ordine ed eventualmente chiudere la casa, il personaggio più riuscito
del film: Padre Garcia (Marcelo Alonso, uno degli attori feticcio di
Larrain).
La parte più densa e convincente del film saranno allora gli
interrogatori/colloqui tra questo “Grande Inquisitore” e i vari
sacerdoti, i quali confessano sì i loro crimini, ma anche rivendicano
le oscure, imbarazzanti ragioni del loro comportamento, arrivando a
rinfacciare all’inviato del vescovo di appartenere ad una chiesa da
albergo a cinque stelle, chiusa alle esigenze e ai drammi dei suoi
abbandonati pastori. Nell’ambiguo personaggio di Padre Garcia, la
chiesa ascolta, non condanna, non denuncia, vuole solo che non si
sappia, non farà, come non ha mai fatto, nulla per le vittime. Dal
canto suo, Sandokan, che di queste è la personificazione vivente, si
aggira per il paese, minaccia, costringe i membri del club ad una
serie di atti, anche violenti, che condurranno all’imprevedibile
finale.
Con pochi esterni, girato quasi sempre di notte o al tramonto,
El Club
è una specie di claustrofobico “chamber drama”, letteralmente
illuminato solo dalla luce di fumose candele. Non c’è speranza, non
c’è voglia di riscatto, né per chi è dentro, né per chi è fuori dalla
Chiesa. Non c’è intenzione di riparare al male compiuto. L’accusa di
Pablo Larrain è forte: per quanto riguarda la pedofilia e non solo, da
parte della chiesa cattolica (forse anche per questo in grave crisi in
Sudamerica e impotente a combattere l’avanzata delle nuove sette
evangeliche) c’è solo una pertinace volontà di occultare le proprie
gravi colpe e responsabilità passate e presenti.
Verrà presto distribuito in Italia e sarà interessante vedere la
reazione del pubblico.
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