Una
storia d'amore in cui sia lui che lei sono spie e non sanno mai dove
finisce l'amore e inizia la manipolazione. Un film di spionaggio in cui
gli agenti segreti non lottano per sventare attentati o traffici d'uranio,
ma usano tutti i mezzi più sofisticati e spregevoli per carpire segreti
industriali. Una serie di colpi e contraccolpi a base di intercettazioni,
depistaggi, simulazioni, in cui non sappiamo mai chi stia ingannando chi e
perché. Anche se la posta in gioco non sono satelliti o armi di
distruzione di massa, ma creme antibrufoli, detersivi, cera per i
pavimenti; perché ad affrontarsi sono due multinazionali dei cosmetici e
dei prodotti per la casa, cosa che rende ancora più derisorio (e
inquietante) lo sperpero di mezzi e di sottigliezze psicologiche con cui
viene condotta questa guerra invisibile ma violentissima.
Seconda regia di Tony Gilroy,
Duplicity
ci ricorda che l'autore dell'impegnato
Michael Clayton è soprattutto il
brillante sceneggiatore della serie The
Bourne Identity e che oggi i generi
vivono di scambi, prestiti, contaminazioni. Così in
Duplicity,
film di spionaggio, commedia romantica, metafora dell'Occidente, tutto è
doppio e forse di più.
C'è la sfida fra Julia Roberts e Clive Owen, spie e amanti, complici e
rivali, costretti ad amarsi e tradirsi in un vorticare di città e
espedienti, ma c'è anche quella a distanza fra i boss rivali, gli
strepitosi Tom Wilkinson e Paul Giamatti (da non perdere assolutamente il
loro match iniziale al rallentatore, se esistesse l'Oscar per i migliori
titoli di testa
Duplicity
lo vincerebbe a occhi chiusi anche perché ci vorrà tutto il film per
capire perché due signori in giacca e cravatta si azzuffano come teppisti
di fronte al loro staff e ai loro jet personali).
Ma ci sono anche dialoghi che si ripetono misteriosamente parola per
parola a distanza di anni e chilometri, scene viste due volte da due punti
di vista diversi cambiando radicalmente senso. Più un arsenale di trovate
di sceneggiatura e finezze di regia (Gilroy sa a memoria
Hitchcock, guardate come filma gli
incontri nelle strade di New York o di Roma) che rendono
Duplicity
irresistibile e tutt'altro che fatuo.
Perché mentre Owen e la Roberts si amano e si ingannano, si inseguono e si
usano, si desiderano e si mettono alla prova, noi in platea iniziamo a
pensare che in fondo ogni coppia funziona più o meno così. E che questa
parodia della guerra fredda è un'immagine idealizzata ma abbastanza
calzante della nostra società opulenta e delle esistenze poco eroiche ma
molto complicate dell'immensa middle class planetaria. Esaltata da due
interpreti perfetti (magnifica la Roberts, tutta less is more), a loro
volta messi in valore da un casting che ironicamente li circonda di
comprimari quasi sempre bruttini, dunque, almeno sullo schermo, condannati
a vivere per procura. |