Questo
surreale scambio di battute non appartiene alla fiction
cinematografica ma alla (desolante) realtà di una conferenza stampa
dopo la prima dell’ultima fatica filmica del divo Clooney che da
criminale buono degli
Ocean’s passa a vestire i panni
dell’avvocato senza scrupoli (ma li svilupperà lungo strada). Tale
disputa “morale” ha forse attirato l’attenzione più di quanto non
meriti, tenuto conto di come è in realtà l’intricato lavoro di Tony Gilroy.
Infatti se è vero che Michael Clayton (Clooney) ritrova un’etica
smarrita per affrontare e sconfiggere la U/North - grande ditta di
prodotti chimici agricoli (ovviamente tossici) che ha il volto e
la voce di Karen Crowder (Tilda Swinton), legale della compagnia, dal
portamento altero a dalla mente diabolica (che non esita a ordinare
omicidi) - bisogna però sottolineare che il tema sociale è toccato
quasi di sfuggita. Non si tratta cioè di un nuovo
Insider o di un
Erin Brokovich al maschile: la sostanza della diatriba legale è appena
accennata e la trama ruota intorno al personaggio Michael, ai suoi
rimescolamenti di coscienza e alla sua presenza scenica (quasi sempre
nell’inquadratura) che trova il culmine nel primo piano conclusivo,
muto, fascinoso e lungo quanto tutti i titoli di coda.
La mano del Gilroy sceneggiatore si avverte nella trama complessa,
avviluppata intorno al lungo flashback che segna il racconto; elemento
che rimanda ai suoi precedenti lavori della trilogia di Bourne. La
regia (all'esordio) sembra invece più trattenuta e, al di là dell’intenso
piano-sequenza che accompagna la fine di Arthur (Tom Wilkinson, il
socio redento di Clayton), si ritrae spesso verso l’inquadratura
fissa, lasciando ai bravi attori (anche Sidney Pollack come capo di
Clooney) il compito di guidare il film verso un risultato alfine più
che godibile, sempre avvincente tra il fascino ostile dell’intrigo e
la concretezza dell’azione di denuncia.
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