…Anche
perché l’inconscio giovanile, già di suo, sembra sempre più esasperato da
un’insoddisfazione autodistruttiva, da presagi di morte che si
compenetrano con la vita, da incubi e allucinazioni che non hanno bisogno
del riposo del sonno o della devianza delle droghe per farsi reali, per
riempire il senso dell’esistere. Un grande coniglio bianco è il simbolo
totemico con cui
Donnie Darko
(Richard Kelly – USA, 2001) si interroga sull’effetto dirompente che la
consapevolezza della morte ha sull’individuo, e, di conseguenza, sul suo
confrontarsi con se stesso e col suo prossimo, sul come ridelineare le
proprie emozioni e il proprio agire
.
Donnie (Jake Gyllenhaal), il cupo protagonista, è certo affetto da
disturbi psichici, ma il suo malessere adolescenziale è esemplare, così
come lo stile di Kelly, visionario e spiazzante, ripercorre
citazionisticamente i meandri spazio-tempo dell’immaginario
cinematografico, le icone televisive e musicali (dai Puffi ai Duran Duran)
di cui è permeato il cosmo giovanile. La schizofrenia di Donnie Darko è il
risultato di una frustrazione generalizzata, il motore dell’aereo che
piomba nella sua stanza è la paura (non solo infantile) della distruzione
delle nostre sicurezze minacciate dalla tecnologia, i fatidici 28 giorni
che il coniglio Frank gli comunica mancare alla fine del mondo
(annunciata, con macabra ironia, per il giorno di Halloween) cadenzano
l’ultimo mese di vita di una certezza esistenziale già precaria.
Donnie
Darko si presta a molteplici chiavi di lettura, ma la sua struttura
epico/catastrofica, lo stralunato surrealismo dei suoi mondi paralleli, in
bilico tra fantascienza e onirismo, suggellano il paradosso di una
iniziazione alla morte che è iniziazione ad una nuova vita, di un cinema
che possiamo adottare come nostro vero amico immaginario per comprendere
noi stessi e il nostro esistere.
«It's a
sad world and the dreams in which I'm dying are the best I've ever had».
Tears for Fears - colonna sonora di
Donnie
Darko
(ultima scena del film) |