da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
«Circa mille anni dopo, la Pace resta sfuggente» è l'ultima battuta de Le crociate di Ridley Scott : come queste parole, tutto il film, lungo circa due ore e mezza, allude al presente in Medioriente, mostra di essere stato fatto per riflettere sul presente e se ciò appesantisce un poco la maggiore Guerra di Religione mai combattuta, esattezza e accuratezza sono impeccabili (salvo che dal punto di vista strettamente storico). Non entusiasmante, con buoni attori in piccole parti (Jeremy Irons, Liam Neeson), il kolossal è ben fatto e interessante. Le Crociate, spedizioni armate organizzate su sollecitazione di papa Urbano II dal secolo XI in poi da parte dei cristiani occidentali, al fine di impadronirsi della città e del Santo Sepolcro di Gerusalemme, furono complessivamente otto, e non vi mancarono saccheggi, assassinii, torture. Il film di Ridley Scott comincia nel 1184, durante il comando del Saladino e del re Baldwin IV: quest'ultimo è il personaggio visivamente più straordinario della storia, malato di lebbra, fasciato in abiti e guanti bianchi, con la faccia deformata dal male coperta da una splendente maschera d'argento. Gerusalemme era in quel periodo immersa in una fragile pace. Ci vivevano liberamente e senza scontri persone di diverse etnie e religioni: e se qualcuno, come i Templari violenti col loro motto «Dio lo vuole!» rubava e uccideva, violando la legge, veniva impiccato. All'interno dei differenti gruppi, intorno al moderatismo pacifista dei capi, fanatici estremisti al vertice meditavano guerre senza scampo, imprese sanguinose. In questa situazione arriva un giovane maniscalco (Orlando Bloom) che un aristocratico cavaliere Crociato ha riconosciuto come proprio figlio, che lo porta con sé verso Gerusalemme, lo nomina cavaliere e prima di morire affida a lui il compito di salvare la città. Il giovane, religioso, giusto e retto, innamorato della regina Sybilla. Intende mantenere la pace, fare il bene del popolo, conservare rapporti non conflittuali con i musulmani: doveri tutt'altro che facili. La stima e le preferenze del regista vanno palesemente agli arabi rispettabili, fini, colti a dispetto delle decapitazioni, mentre i Crociati vengono spesso rappresentati come rozzi, ladri, sanguinari sfruttatori di quelle terre non loro: ma il tema forte del film è la pace necessaria e possibile nella città e nella regione. I combattimenti tra Crociati e soldati di Saladino (anzi,Salah-a-Din) sono goffi, brutali: teste tagliate, nemici atterrati recidendogli i garetti, asce nel collo, duelli con lo spadone (anche gli arabi si battono non con la curva scimitarra, ancora non in uso, ma con la spada dritta), ferite di lancia da cui fuoriescono i visceri, piogge di fuoco o di pietre, corpo a corpo accaniti, in Francia sotto la neve gelata, o sulla polverosa sabbia del deserto. La corruzione pare comune tra i Crociati, partiti per volontà di Dio ma soprattutto per le ricchezze e le terre, lussi impossibili nell'Europa impoverita dalle scorrerie dei barbari. Salvo la regina, non si vede una donna e neppure un bambino. Il bel commento musicale oscilla da Bach alla canzone di Blade II. Quasi alla fine del film, il protagonista è costretto ad arrendersi e a cedere la città: «Quanto vale Gerusalemme?», chiede al Saladino, e quello: «Niente...tutto». |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Perduta la famiglia, il maniscalco Baliano sente vacillare la Fede. Proprio allora scopre di essere figlio del grande crociato Goffredo di Ibelin (Liam Neeson, che esce velocemente di scena come in Gangs of New York) e va in Terrasanta; diventa il cavaliere perfetto; consola l'inconsolabile vedovanza con la principessa di Gerusalemme; affronta i traditori del suo stesso schieramento; difende la città dal nobile Saladino e ne esce con l'onore delle armi. Abbastanza per lasciare che, alla prossima Crociata, Riccardo Cuor di Leone ci vada solo. Nell'impostazione di personaggi e conflitti, nella coreografia delle battaglie, nel largo respiro epico dell'inquadratura Le crociate somiglia come una goccia d'acqua al "Gladiatore". Buoni buonissimi da una parte, ignobili bastardi dall'altra; conflitti ultracruenti, più la tentazione ricorrente d'istituire parallelismi tra il soggetto "in costume" e l'oggi: nel kolossal romano, la dittatura e relativa ribellione; qui l'opposizione tra il fanatismo e la virtù, la brama di rapina e l'onore, che porta culture diverse a comprendersi. Quando si tratta di mettere in scena un mondo remoto e ferrigno, movimentandolo con imprese più-grandi-della-vita, Ridley Scott ha ben pochi rivali nel cinema odierno. Disturba soltanto che i nobili concetti del film (su religione, giustizia, espiazione, fratellanza, coraggio) vengano esposti dai personaggi a intervalli regolari, a mo' di spot ideologici, in formule prevedibili come quelle dei biglietti nei cioccolatini. |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2005