Cose di questo mondo (In this world)
Michael Winterbottom - Gran Bretagna 2003 - 1h  30'

  ORSO D'ARGENTO - Berlino 2003

da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich)

     Certi film possono ragguagliare sullo stato delle cose meglio dei politici sul video. Vedi Cose di questo mondo dell'inglese film precedente in archivio Winterbottom film successivo in archivio, In This World in originale, con riferimento alla frase: «No longer in this World» («Non più in questo mondo»), con cui l'orfanello afghano Jamal, vicino alla meta, annuncia telefonicamente ai parenti il decesso del cugino con cui ha condiviso il fortunoso viaggio verso Londra. Indirettamente collegato con le problematiche del momento - i rapporti fra il mondo occidentale e gli sciagurati Paesi dell'Asia -, il film affronta il dramma degli «economic refugees», quelli che secondo una celebre frase di Lenin «votano con i piedi» fuggendo dai luoghi dove si muore di fame: dannati della terra demonizzati dai superegoisti impegnati nella strenua autodifesa dei Paesi ricchi. Nel ricordarci che solo dall'Afghanistan un milione di rifugiati all'anno cerca scampo in Occidente, Winterbottom racconta l'odissea di un paio di clandestini pedinandoli in una penosa trasferta di sei mesi dal campo profughi pakistano di Shammshatoo all'Iran, dalla Turchia a Trieste, da Parigi a Londra. Sempre nascondendosi, angariati e intombati fra le merci di un camion a rischio di asfissia. Eppure, i due eroi involontari si sforzano di vivere una vita normale, telefonano a casa, raccontano barzellette e fanno a palle di neve. Orso d'Oro a Berlino, conservando la freschezza della cosa vista il film è molto più di un documentario.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Tra il milione di rifugiati a Peshawar nell'ottobre del 2001, in seguito ai bombardamenti americani dell'Afghanistan, ci sono due cugini: il giovane Enayat e il giovanissimo Jamal, un orfano che vive nel campo-profughi. Quando il padre decide di mandare Enayat in Inghilterra, nella speranza di una vita migliore, Jamal ottiene di accompagnarlo grazie al fatto che sa parlare inglese: persuade tutti che potrà essere utile al cugino. Varcato clandestinamente il confine con l'Iran, i due proseguono a piedi attraverso il Kurdistan sull'antica via della seta, ora via del contrabbando di petrolio e d'oppio; giungono a Istanbul e riprendono la peregrinazione alla volta dell'Italia, stivati in un cargo da cui non tutti usciranno vivi. In una Trieste ricca e indifferente, Jamal sopravvive scippando borsette; prima che il viaggio della speranza (più volte declinata in disperazione) prosegua verso Parigi e Londra. Sarà magari un pregiudizio di chi ama il cinema, però a volte hai la sensazione che un film possa dirti di più su guerre, bombardamenti e profughi di questi tormentati anni di quanto non sia in grado di fare una dozzina di dibattiti televisivi quotidiani con esperti militari, politici, tuttologi e showgirl. Cose di questo mondo, Orso d'Oro a Berlino, ottiene l'effetto raccontando una storia (pienamente realistica), mostrando volti (di assoluta verità), immergendoti in una babele di linguaggi (saggiamente, il film è distribuito in edizione originale sottotitolata), facendoti identificare con i personaggi e trasmettendoti un autentico senso d'indignazione, di sacrosanto scandalo per le ingiustizie e le violenze perpetrate ai danni di gente di cui ignori quasi tuttoma che, alla fine del film, ti sembra di conoscere un po' di più. Eclettico per definizione - il che non significa privo di sincerità - discontinuo nei risultati, Michael Winterbottom aveva già tentato qualcosa del genere con Benvenuti a Sarajevo, però era caduto nella trappola della retorica e dei buoni sentimenti a comando. Nulla del genere, questa volta. Nel narrare l'odissea dei due giovani clandestini afghani, il regista adotta un linguaggio semidocumentario, tiene sotto controllo lo zelo militante (la sua casa di produzione si chiama Revolution Films) e rinuncia a ogni tentazione predicatoria, lasciando parlare immagini di sobria e perentoria eloquenza riprese con telecamera digitale nei luoghi reali dell'azione.

TORRESINO - aprile 2003