Cesare deve morire
Vittorio e Paolo Taviani
-
Italia
2012
- 1h 16' |
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Orso d'oro a
BERLINO |
Shakespeare
a Rebibbia, interpretato dai detenuti della sezione alta sicurezza.
Il
Giulio Cesare sembra scritto per loro, che conoscono la violenza. Che
conoscono il potere. Orso d'Oro a Berlino, il film dei fratelli Taviani
sembra il punto zero di molti gangster movies che raccontano
l'avvicendamento delle cupole, l'eliminazione di capi scomodi, i
tradimenti.
Cesare deve morire
è (anche) la scarnificazione del cinema di genere, riportato su un
palcoscenico assoluto, quello di una galera
.
Il luogo più estremo, dove la libertà è preclusa e restano solo le
pulsioni essenziali. La forza del film è nell'aver messo in scena il
dramma inglese senza soluzione di continuità: gli attori lo declamano
nella loro cella, durante l'ora d'aria, sul palco. Non c'è confine tra la
loro vita e la 'finzione', perché la rappresentazione è la prima forma di
analisi e l'autocoscienza è tutto ciò che può ridare fiato all'esistenza.
Girato in digitale, in un bianco e nero su cui irrompe a tratti un
teatralissimo colore,
Cesare deve morire
è costellato di immagini potenti. Specie quando la macchina da presa
scruta le grate del carcere, o distaccata lo osserva dall'esterno, come se
Rebibbia fosse un'astronave atterrata per caso sulla terra. In quella
astronave ci sono gli elementi primari della vita. In ogni vita c'è la
lotta, in ogni vita c'è una galera. Splendida colonna sonora di Giuliano
Taviani e Carmelo Travia, preziosa nel sottolineare la forza dello
sguardo. |
Eleonora Battocletti - Il Fatto Quotidiano |
Si
svolge in un reparto di sicurezza del carcere romano di Rebibbia e
racconta la messa in scena di una tragedia scespiriana recitata da un
gruppo di detenuti, sotto la guida del regista Fabio Cavalli da dieci anni
impegnato in questa attività, ma non è un documentario, e non è neppure
teatro adattato per lo schermo: è un puro distillato del cinema e delle
tematiche dei Taviani. [...] Ottimo il sintetico taglio drammaturgico del
meraviglioso testo, felice l'idea (di Cavalli) di far parlare gli attori
nei loro dialetti; indovinata squadra di interpreti (fra cui straordinari
Striano e Vega), la cui vita spericolata alimenta di lacrime e sangue il
gioco recitativo; emozione colma di quando si toccano corde umane
profonde.
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Alessandra Levantesi Kezich - Il Manifesto |
La
coppia di registi pisani, è stato notato, pareva adagiata da decenni, su
un cinema piuttosto accademico, mentre
Cesare deve morire è indubbiamente uno dei loro lavori più sperimentali e curiosi. I
due fratelli ultraottantenni si sono imbarcati in un film piccolo e agile.
Non hanno solo ripreso le prove e la messa in scena di un Giulio Cesare
di Shakespeare con i detenuti di Rebibbia, ma hanno contaminato realtà e
finzione, rielaborando le reazioni degli «attori» davanti all'arte,
sfruttando l'energia e il transfert di queste vite nel dramma. Il successo
di critica (italiana) e la vittoria a Berlino ci dicono forse un paio di
cose, sul cinema italiano e non solo. La prima riguarda la possibilità e
la necessità di un cinema «leggero». I Taviani hanno intuito che una delle
poche vie praticabili, oggi in Italia, sono le produzioni poco
ingombranti, che permettano un confronto con la vita senza subire i
contraccolpi di una realtà produttiva sempre più in crisi. [...] Che, nel
film dei Taviani, le battute di Shakespeare in bocca a condannati per
associazione mafiosa o spaccio suonino credibili, ci conferma che le
tragedie moderne sembrano stare di casa più tra sottoproletarie marginali
che in ambienti piccolo o alto-borghesi [...]. Dopo tutto, in un altro
carcere, a Volterra, un grande teatrante visionario come Armando Punzo
crea da oltre vent'anni spettacoli belli e importanti mettendo in scena
proprio questo dualismo. Una realtà che contraddice Aristotele quando
sosteneva che la tragedia, diversamente dalla commedia, deve raccontare
persone 'migliori di noi'.
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Emiliano Morreale - Venerdì di Repubblica |
promo |
Roma, carcere di Rebibbia. I detenuti di massima sicurezza
recitano Shakespeare: all'interno del carcere, infatti, viene
messo in scena un particolare allestimento del 'Giulio Cesare' in
cui sentimenti e personaggi vivranno sulla scena con gli attori e
nelle celle con i detenuti. Si comincia a colori. Con la ricerca
fra i detenuti di quelli che potrebbero recitare in uno spettacolo
che dovrà svolgersi tra le mura del carcere. Poi, in uno splendido
bianco e nero esaltato dal digitale, inizia il dramma. Con i suoi
interpreti che, scortati, lasciano le loro celle per partecipare
alle prime prove in un palcoscenico improvvisato: le parti
imparate a memoria, le battute dei primi atti; con un'altra
splendida trovata, quella di lasciare che i singoli 'attori' si
esprimano nei loro dialetti d'origine. Si segue con il fiato
sospeso. |