Dopo
il futile
Scoop
Woody Allen torna alla truce ispirazione che, a quanto
pare, Londra gli suscita. Ancora una storia nera, ancora un film di
colpa e rimorso, ancora l’omicidio come cartina di tornasole della
coscienza umana.
Ian e Terry sono due fratelli, affiatati, ma con stili di vita e
ambizioni ben diverse. Terry (Colin Farrell) fa il meccanico, è
sposato e pensa a casa e figli; Ian (Ewan McGregor) lavora nel
ristorante del padre, ma progetta affari con alberghi all’estero. Ian
usa nei week-end le jaguar prese “in prestito” dall’officina del
fratello, Terry ha il vizio delle scommesse, dal poker alle corse dei
cani.
Il
Cassandra’s Dream
del titolo è proprio il nome di un cane “vincente” e diventa anche
quello della barca a vela con cui i fratelli concretizzano il loro
sogno di rilassarsi navigando nella Manica. Ma il sogno di Cassandra,
si sa, è
foriero di cattive notizie. Terry si indebita con gli
strozzini, Ian ha urgente bisogno di denaro da investire. Quando il
ricco zio Howard passa per Londra è consequenziale chiedere a lui
aiuto. Peccato che il do
ut des abbia regole non scritte, specie se si tratta di uno “di
famiglia”. La richiesta di zio Howard (Tom Wilkinson) è spiazzante:
uccidere un suo collaboratore che minaccia di comprometterlo. Le
angosce di Terry e Ian (più del primo che del secondo) seguono in
parallelo i canoni di un’iniziazione al male che “inesorabilmente”
sfocia in una fredda accettazione della proposta
(esemplare il lieve
spostamento dell’angolo di ripresa che nasconde agli occhi dello
spettatore l’impietosa esecuzione).
Più asciutto e meno citazionistico di
Match Point,
non meno cupo e con un crescendo di tensione di pregevole
coinvolgimento
Cassandra’s Dream non concede stavolta l’impunità
cinicamente fatta propria dal tennista Chris Wilton e resta fedele al
binomio delitto e castigo.
E c’è ben poco spazio per la proverbiale, sorridente ironia alleniana
(memorabile solo il commento di Ian sulla performance teatrale della
sua ragazza “nelle scene di sesso ha classe”), piuttosto
emergono massime di crudo realismo: “non guardare come col
microscopio, se guardi le troppo da vicino vedi tutte le imperfezioni”
– “l’unica nave che fa ritorno ha le vele nere” – “è stato
come attraversare un confine, non c’è ritorno”. Quando il dramma
scoppia è a tutto tondo e se l’imprinting di Woody non è forse così
riconoscibile, chi riuscirebbe a farci entrare con altrettanta
scorrevolezza in una tragedia? Quanti altri saprebbero arrivare al
crudo epilogo con così rarefatta retorica, con l’amara consapevolezza
di sogni e affetti inequivocabilmente infranti?
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