da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Si è parlato molto, la scorsa stagione, di rinascita italiana, quando il talento consolidato di Nanni Moretti (La stanza del figlio) e quello emergente di Gabriele Muccino (L'ultimo bacio) hanno fatto sperare in una nuova fioritura del nostro cinema. Poi lo sboccio con la parziale delusione di Venezia è parso frenato. Però la rinascita c'è. Lo dimostra una produzione coraggiosa e difficile come Brucio nel vento, film forse non perfetto ma bello, intenso e struggente diretto da Silvio Soldini . La storia, adattata dal breve romanzo di Agota Kristof Ieri, è incentrata su un fantasma d'amore; ennesima riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che le storie migliori sono quelle che raccontano un'ossessione. Figlio di una giovane prostituta di villaggio, Tobias fugge all'Ovest dopo avere accoltellato l'amante della madre. Non vi trova un'aria serena, ma un triste lavoro alla catena di montaggio, una vita grama tra altri emigrati alle prese con la povertà e le umiliazione quotidiane. Tobias, invece, vuole scrivere e amare: amare Line, che ha conosciuto da bambino e cerca in tutte le donne che incontra. Un giorno giunge in Svizzera, nella fabbrica in cui lavora il giovane, proprio Line. E' sposata, ha una bambina, è sorella di Tobias per via paterna; nessun ostacolo, però, sembra insormontabile al visionario innamorato. Brucio nel vento è il film migliore di Soldini, nettamente superiore al celebrato Pane e tulipani. Per gradi, il regista installa un'atmosfera di squallore poetico quanto mai suggestiva e contagiosa, facendoti sposare la pazzia d'amore di un personaggio che all'inizio appare bizzarro, poi si conquista la tua solidarietà e il tuo affetto. Lui soprattutto e il carisma dell'interprete Ivan Franeknon ha una parte secondaria in ciò ma anche la trepida Line, il patetico Janek, affamato di patate e di contatti umani, e altri caratteri di contorno. Nella colonna delle cose meno riuscite vanno iscritte l'improvvisa accelerazione degli eventi (e del ritmo cinematografico) nell'ultima parte, le allucinazioni di Tobias, il commento musicale un po' troppo straziante di Giovanni Venosta. Però il bilancio è largamente in attivo; c'è da restare sorpresi, anzi, per la qualità del risultato a fronte di problemi, estetici e produttivi, di cui è intuibile la complessità. Ottimo il doppiaggio di Fabrizio Gifuni e Licia Maglietta; anche se gli spettatori più sofisticati non vorranno perdersi l'edizione originale con sottotitoli. |
da L'Unità (Dario Zonta) |
... Brucio nel vento é il più bel film italiano della stagione. Ma non è un film italiano. Entro questo paradosso si muove l'ultima opera del regista milanese Silvio Soldini. Vediamo perché. Brucio nel vento è tratto dal romanzo (meglio definirlo racconto lungo) Ieri della scrittrice ceca Agota Kristof conosciuta ai più per l'opera Bambini della città di K. In uno stile scarnato, quasi disossato (a eccezione di lirici voli pindarici che trasformano il pensiero del protagonista in assunzioni di poesie), la Kristof mette in righe un vero e proprio melodramma, nella sua accezione principale di scontro con e del destino, affidato alle intemperanze solipsistiche di un giovane uomo, che si chiude al mondo, che decide volontariamente, soggiogato dal destino, di ritirarsi entro le fragili mura della sua mente per perseguire, con ostentata maniacalità, un'ossessione amorosa, un'ancora di salvataggio a cui si aggrappa per difendersi dall'orrore della vita quotidiana, e con cui affonda immergendosi nel baratro di una vita comune. La sua ossessione è l'immagine-sogno di una donna, Line, una visione del passato. Una bambina conosciuta sui banchi di scuola della natia Cecoslovacchia, che presto prenderà le forme di una donna incontrata quindici anni dopo nella fredda e grigia Svizzera che ha ridotto questi stranieri-operai, immigrati dai frantumi della Stoffa, in fabbriche di orologi. Le radici profonde dell'ossessione stringono i due amanti in un vincolo di sangue: lo stesso padre, un maestro di campagna ammaliato dalle arti amatorie della prostituta del villaggio. Il piccolo bambino Tobias attenta alla vita del padre fuggendo nei boschi alla volta di una nuova vita tra i comignoli svizzeri. Una vita di solitudine stregata dal ricordo del passato. Il delitto, mancato, non viene punito e l'incontro tardivo con la sua Line, ora sposata e con un figlio, riannoda i fili di una storia pensata conclusa e rinata tragica. Fin qua il libro che assume tutti i caratteri di un melodramma anarcoide e che tratteggia i contorni di un giovane, a metà tra Raskolnikov e Werther, che rifiuta la Storia e la Realtà in favore di un individualismo, appunto anarchico e onirico. Soldini ricalca il film sullo stampo preciso del libro, e lo fa con mano decisamente felice sia nella realizzazione dei dialoghi che nella trasfigurazione in immagini, cosa che eleva il film in un'opera di tutto rispetto. Ma, allo stesso tempo, trasforma il melodramma in storia d'amore e l'assunto anarchico (delitto senza castigo, individuo contro società) in strategia dell'evasione, fuga che ha contraddistinto le sue ultime opere Le acrobate e Pane e tulipani. L'ossessione impossibile diventa amore realizzato in un dolce finale, l'unica cosa che differisce dal libro. Vedere per verificare. Il finale marittimo é in Italia, salvo doppiaggio che lo vuole spagnolo. Ma questa é l'unica cosa italiana del film. Il resto parla di Europa: attori, ambientazione, clima culturale ed estetico. Un'Europa, quella di Soldini, che teme l'emozione e il sentimento come forma vera di ribellione. |
LUX febbraio 2002
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2002