Agata e la tempesta
Silvio Soldini - Italia 2004 - 1h 58'


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da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

       I nostri guai o le nostre tragedie trasformati in una commedia lieve, colorata, elegante, da ridere. Al suo sesto film Agata e la tempesta (il primo, L'aria serena dell'Ovest oscuro e bello, è del 1990), Silvio Soldini film successivo in archivio, milanese, 46 anni, già autore ammirato di Brucio nel vento e Pane e tulipani, capovolge volontaristicamente le brutte realtà: la morte d'una madre, la rovina d'uno studio professionale, la scoperta di essere un altro, una moglie paraplegica, un letale incidente d'auto, una separazione coniugale, gli inconvenienti d'innamorarsi d'una persona molto più giovane, diventano elementi festosi o almeno sopportabili d'un mondo diverso da quello vero e da quello televisivo, surreale e giocoso, multicolore come una stanza dei bambini e felice quanto è possibile. Non ha speciale significato, non vuol dire granché (se non, forse, un invito all'ottimismo, un desiderio di contraddire l'attuale dominante cultura della catastrofe, un'affermazione che la vita può essere bella): ma il film fatto e recitato bene è divertente, piacevole. Licia Maglietta, presenza magnifica, attrice naturale e seducente, spontanea e raffinata, è una libraia, simbolo della cultura con la sua nutriente funzione e insieme emblema dell'amore con le sue belle insensatezze: creatura anche magica, al cui passaggio misteriosamente le lampadine elettriche si fulminano, i computer esplodono, le luci stradali si spengono, asciugacapelli e tostapane smettono di funzionare; Emilio Solfrizzi, architetto, marito di Marina Massironi psicologa televisiva, crede di essere suo fratello, ma scopre d'aver avuto altri genitori e d'avere invece un fratello diverso che è il bravissimo piazzista Giuseppe Battiston. Tra Genova stupenda e la pianura padana, i tre vivono avventure circondati da molti personaggi minori interessanti, ben disegnati e buffi. Le scenografie colorate di Paola Bizzarri sono adeguate; i costumi di Silvia Nebiolo, creativi e perfetti (soprattutto gli abiti da uomo sono originali, giusti), danno all'atmosfera del film un contributo notevole. In bianconero, fotografie di famiglia e piccoli film domestici evocano il passato, sempre ricordato con slancio ironico, mai sentimentale.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

       Fate caso ai colori. E' un film multicolore Agata e la tempesta, negli abiti, negli ambienti, perfino nelle automobili. Come un sogno o come una fiaba. Alla presentazione per la stampa, affollata perché si era sparsa l'aspettativa per un Pane e tulipani 2, le espressioni finali erano di quelle che dicono: troppo ottimismo, troppa positività, troppo zucchero. E invece no: è un film emozionante, e se c'è da sfidare l'insinuazione che Soldini, regista già cupamente svizzero, si sia rimbecillito, ebbene la sfidiamo con lui, solidali. Evviva il cinema italiano che "si è rimbecillito", cioè ha capito che il cinema non serve a parlare con se stessi, per quello ci sono le poesie, ma con tanti. E che c'è un modo - mille in realtà - per farlo, ed è doveroso cercarli e trovarli, senza calare le braghe, senza rinunciare al proprio profilo e alle ambizioni artistiche. Banale, direte, De Sica lo sapeva molto tempo fa e metteva in atto il suo sapere senza perdersi in chiacchiere. Ma non è invece così banale considerando per quanto tempo il cinema italiano si è smarrito divaricando al massimo lo spazio tra le rare vette "d'autore" e una popolarità piatta e volgare. Certo, chi l'avrebbe mai detto che uno dei principali artefici del riscatto sarebbe stato proprio Silvio Soldini, nato come regista di culto della cinefilia più settaria? Sarà l'amore, ci permettiamo d'immaginare appellandoci al fatto risaputo che la protagonista Licia Maglietta è anche sua partner nella vita. Come già la Rosalba casalinga a un tempo inquieta e solare in Pane e tulipani così anche la sua Agata, qui, è illuminata da un occhio innamorato. Che porta letteralmente in trionfo l'attrice napoletana (la cui napoletanità deve aver contato qualcosa nel diradare le brume nordiche). E ce la rende irresistibile e incantevole nel suo disinvolto muoversi a bocca aperta come Alice nel paese delle meraviglie, e mentre ogni lampada ostinatamente si fulmina al suo passaggio, tra: un fratello (Emilio Solfrizzi) che, si scopre, non è più un fratello; uno sconosciuto (Giuseppe Battiston) che è invece il vero fratello di quello che non è più suo fratello ma, bando alle quisquilie biologiche, va a rimpinguare un terzetto di fratelli d'elezione; e un innamorato pazzo (Santamaria) che viene sostituito dal fratello gemello innamorato ancor più pazzo (sempre Santamaria). Insomma un doppio messaggio, di tensione al sorriso e alla leggerezza che (senza obbligo per nessuno) non può far che bene al nostro cinema, e di acuta osservazione sui rimescolamenti dei legami tradizionali, su un panorama umano tanto imprevedibile quanto entusiasmante.

TORRESINO - aprile 2004