da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
I
nostri guai o le nostre tragedie trasformati in una commedia lieve,
colorata, elegante, da ridere. Al suo sesto film
Agata e la tempesta
(il primo,
L'aria serena dell'Ovest
oscuro e bello, è del 1990), Silvio Soldini
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da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Fate caso ai colori. E' un film multicolore Agata e la tempesta, negli abiti, negli ambienti, perfino nelle automobili. Come un sogno o come una fiaba. Alla presentazione per la stampa, affollata perché si era sparsa l'aspettativa per un Pane e tulipani 2, le espressioni finali erano di quelle che dicono: troppo ottimismo, troppa positività, troppo zucchero. E invece no: è un film emozionante, e se c'è da sfidare l'insinuazione che Soldini, regista già cupamente svizzero, si sia rimbecillito, ebbene la sfidiamo con lui, solidali. Evviva il cinema italiano che "si è rimbecillito", cioè ha capito che il cinema non serve a parlare con se stessi, per quello ci sono le poesie, ma con tanti. E che c'è un modo - mille in realtà - per farlo, ed è doveroso cercarli e trovarli, senza calare le braghe, senza rinunciare al proprio profilo e alle ambizioni artistiche. Banale, direte, De Sica lo sapeva molto tempo fa e metteva in atto il suo sapere senza perdersi in chiacchiere. Ma non è invece così banale considerando per quanto tempo il cinema italiano si è smarrito divaricando al massimo lo spazio tra le rare vette "d'autore" e una popolarità piatta e volgare. Certo, chi l'avrebbe mai detto che uno dei principali artefici del riscatto sarebbe stato proprio Silvio Soldini, nato come regista di culto della cinefilia più settaria? Sarà l'amore, ci permettiamo d'immaginare appellandoci al fatto risaputo che la protagonista Licia Maglietta è anche sua partner nella vita. Come già la Rosalba casalinga a un tempo inquieta e solare in Pane e tulipani così anche la sua Agata, qui, è illuminata da un occhio innamorato. Che porta letteralmente in trionfo l'attrice napoletana (la cui napoletanità deve aver contato qualcosa nel diradare le brume nordiche). E ce la rende irresistibile e incantevole nel suo disinvolto muoversi a bocca aperta come Alice nel paese delle meraviglie, e mentre ogni lampada ostinatamente si fulmina al suo passaggio, tra: un fratello (Emilio Solfrizzi) che, si scopre, non è più un fratello; uno sconosciuto (Giuseppe Battiston) che è invece il vero fratello di quello che non è più suo fratello ma, bando alle quisquilie biologiche, va a rimpinguare un terzetto di fratelli d'elezione; e un innamorato pazzo (Santamaria) che viene sostituito dal fratello gemello innamorato ancor più pazzo (sempre Santamaria). Insomma un doppio messaggio, di tensione al sorriso e alla leggerezza che (senza obbligo per nessuno) non può far che bene al nostro cinema, e di acuta osservazione sui rimescolamenti dei legami tradizionali, su un panorama umano tanto imprevedibile quanto entusiasmante. |
TORRESINO - aprile 2004