La bottega dei suicidi (Le magasin des suicides)
Patrice  Leconte - Francia/Canada/Belgio 2012 - 1h 25'

 Patrice Lecontefilm precedente in archivio ha commosso il mondo - quello più radical-chic, almeno - con Confidenze troppo intime e aveva nel suo curriculum un paio di gioielli come L’uomo del treno e La ragazza sul ponte. È sempre stato un cineasta raffinato, a volte oltre il limite della leziosità, e bravo nel restituire al pubblico le emozioni che quest’ultimo desiderava sentire. Uno di quei registi “maieutici” che sanno tirar fuori il meglio dai propri spettatori, rendendo così forse le sue opere migliori di quello che effettivamente sono.Ora ha deciso di darsi all’animazione, provando un esordio in tar da età in un genere tanto motivante quanto difficile.
E con
La bottega dei suicidi fa centro pieno: quello che nella sua cinematografia era eccesso, qui diventa una pennellata necessaria, quel modo di etichettare gli esseri umani con un filo di snobismo, nel disegno diventa caratterizzazione sagace. Come se in quei colori (pochi, visto il tenore della storia), in quei tratti che sembrano venire dal passato lui avesse trovato la sua realizzazione. Leconte si traveste da Tim Burton
film precedente in archivio, lo tinteggio di sfumature europee, e ringrazia Jean Teulé per Le Magasin des suicides, libro geniale che ha ispirato e guidato questo film anche se Leconte, come in tutti i tradimenti cinematografici, ha deciso, all’ultimo, di cambiare il finale, per renderlo più dolce,sopportabile e divertente.
Possiamo dire, in fondo, che al pessimismo cosmico dello scrittore si oppone il pessimismo comico de! regista, che si diverte a prendere in giro questa città satura di morte, in cui i suicidi in pubblica via vengono addirittura multati e lo slogan della bottega è «trapassati o rimborsati». Quel negozio pieno di cappi, veleni, lamette e altri ameni metodi di autoannientamento è un luogo di catarsi del desiderio di morte, un vitale richiamo alla bellezza dell’esistenza grazie ad Alan, la cui unica colpa è un’insopprimibile voglia, e soprattutto gioia, di vivere.
Il tratto del disegno è vintage, i colori e i movimenti essenziali e stilizzati, così che il contenuto di questo
Kill Me Please
animato, possa risaltare sulla forma, comunque elegante. A raccontar la vita, parlando di morte (e della scelta di darsela, anche) ci vuol classe e intelligenza. Leconte, per sua e nostra fortuna, ne ha da vendere.

Boris Sollazzo - Pubblico

 La bottega dei suicidi non sarà certo un inno all’autosoppressione; però morbosetto, in realtà, lo è. Perfino i numeri da musical sono fedeli a un’impostazione lugubre, tetra: uno stile tutto intinto nello humour nero che ha un suo perché, ma non ci sentiremmo di consigliare ai ragazzi, se non grandicelli e già attrezzati per valutarne le sfumature.
Non la pensa così Patrice Leconte, raffinato regista (
Il marito della parrucchiera, L’uomo del treno) nonché fumettista (tra l’altro per la rivista Pilote) che debutta nel cartoon adattando un romanzo di Jean Toulé. Lui sostiene che il film è «molto allegro» e ha enormemente divertito il suo nipotino di otto anni. Sarà... magari i nipoti dei grandi cineasti sviluppano prima dei coetanei il senso dello humour. Però è difficile negare che la gran parte del film sia impostata sul gioco (ironico, certamente) delle varie tipologie di suicidio e di suicida, con gag abbastanza crudeli, al limite del cinismo.
Nell’ultima parte Alain inverte la tendenza, riportando in primo piano le cose belle della vita e facendo scoprire a Marilyn, la sorella dark, il valore dell’amore e della sensualità. Però l’ottimismo ufficiale è una “coda”, meno convinta - e assai meno divertente - del resto.

Roberto Nepoti - La Repubblica

 ...Si può seguire... divertendosi. Non solo per le caricature tutte occhi cerchiati dei candidati al suicidio che si avvicenda no nella bottega, ansiosi di conoscere i metodi giusti per soddisfa re le proprie aspirazioni, ma per i ritmi sempre briosi e quindi abilmente controcorrente cui Leconte ha portato avanti la vicenda, cadenzata con malizia dalle piacevolissime canzoni di Etienne Perruchon, specie quella che nei titoli di testa può ascoltarsi nell’originale francese. Il disegno, grazie a un passato poco noto di Leconte come autore di fumetti, è sempre agile e astuto, attento, specie nelle visioni d’insieme, ad alternare il nero ai colori forti, con un gusto che svela più d’una volta delle furbizie anche sottili; per mettere sempre più in evidenza, in tutte quelle cifre un po’ macabre, la beffa con cui si tende ad esprimerle. Senza mai venir meno alla misura.

Gian Luigi Rondi - Il Tempo

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In una città in cui la vita è diventata talmente triste che la gente non ha più voglia di vivere il negozio di maggior successo commerciale è un'attività che vende veleni e corde per aiutare gli aspiranti suicidi, "La Bottega" gestita da Mishima e Lucréce con i loro figli. Le persone disperate sono benvenute nel negozio e l'attività va a gonfie vele. A scombinare l'umore negativo di tutti è però la nascita di Alan: lui sorride e, peggio ancora, è felice e ha una straordinaria voglia di vivere...
La libertà espressiva concessa dalla tecnica animata è ben sfruttata: senza esagerazioni, il disegno alleggerisce le dinamiche più macabre e dà ritmo agli eventi all'occorrenza, specie quando il piccolo Alan decidere di scuotere le coscienze dei suoi famigliari e prende l'iniziativa alla lettera. Il tratto guarda invece all'immaginario visivo di Sylvain Chomet, il più amato ed esportato degli animatori francesi e anche le figure grottesche di Tim Burton sono senza alcun dubbio ben presenti nella mente di Leconte.
A raccontar la vita, parlando di morte ci vuol classe e intelligenza. Lui, per sua e nostra fortuna, ne ha da vendere.

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