da Film Tv (Enrico Magrelli) |
«Quello che si dichiara e quello che si nasconde» è una pratica che accomuna, in modo singolare e imprevedibile, il lavoro dello psicanalista (qualunque sia la sua scuola di riferimento, il suo nume tutelare, lo stregone della psiche che ne deter-mina il metodo) e la professione, meno brillante, più precisa, più disturbante (per i clienti), del commercialista. Su quello che potrebbe sembrare un paradosso teorico e metodologico, Patrice Leconte struttura un sapido thriller dell'anima che si vorrebbe fosse interminabile come teorizzava Freud dell'analisi. Quello che conta nelle sedute sono soprattutto le parole, le affabulazioni, i ricordi, le fantasie, i de-sideri. La cura prevede un set in cui due coprotagonisti si spartiscono abbastanza rigidamente i ruoli: uno ascolta e l'altro parla. In fondo, sono ruoli alla portata di tutti. Anna (Bonnaire) sbaglia (un atto mancato o una scelta deliberata?) la porta d'ingresso su un pianerottolo e si trova a raccontare le sue pene matrimoniali a un fiscalista, William Faber (Luchini). Il consulente finanziario è un buon ascoltatore ed è attratto dalle confi-denze della sua cliente per caso. Tra i due scatta una complicità rituale, si stringe un legame che è molto più suadente e sfuggente di uno scontato transfert tra pa-ziente e analizzante. La cura serve ad entrambi. Leconte, servito a meraviglia da tutti i suoi interpreti (il cast è am-mirevole anche nei ruoli più circoscritti), realizza il suo "breve incontro" intorno ad un di-vano e ribadisce che l'immaginario del cinema può essere fatto solo di parole e di sguardi. |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Convinta di entrare nello studio di un psicoanalista, Sandrine Bonnaire imbocca per sbaglio la porta dello studio del consulente finanziario Fabrice Luchini che, sbalordito e incuriosito, invece di rivelarle l'equivoco la ascolta parlare dei suoi problemi sessuali con il marito e, incontro dopo incontro, ne rimane sedotto. E' intrigante l'idea di partenza di Confidenze troppo intime, un film scritto da Jerome Tonnerre e messo in scena da Patrice Leconte; ma è anche uno spunto narrativo insidioso che rischierebbe di risultare intellettualistico o fragile o banalmente morboso se non fosse per la raffinatezza e il senso dello spettacolo con cui è raccontato sull'arco di 104 avvincenti minuti. Tradendo nelle sue confessioni un misto di ingenuità e malizia, di sfrontatezza e ambiguità, Sandrine esercita una sottile attrazione su Fabrice che, essendo troppo timoroso di gettarsi nella vita e seguire i moti del cuore, ne subisce passivamente il fascino senza palesarsi. A un certo punto nel gioco a due si inserisce il marito di lei che, materializzandosi nello studio di Luchini e fornendo una diversa versione sul suo matrimonio, lo invita a fare l'amore con la moglie sotto il tetto maritale per divertirsi a guardare, salvo a ripensarci e scambiare le parti: toccherà a Fabrice il ruolo del voyeur… Ambientato quasi tutto nello studio di Luchini e praticamente privo di azione, Confidenze troppo intime è girato come un thriller (sentimentale, precisa il regista) e non perde mai di ritmo e di tensione... C'è anche una preziosa citazione letteraria quando Fabrice presta a Sandrine il libro «La tigre nella giungla»: un racconto di Henry James il cui protagonista è un uomo arido ed egoista che si lascia passare accanto l'amore senza accorgersene. Concorrono all'ottimo risultato il commento musicale pieno di atmosfera di Pascal Esteve, l'elegante scenografia anni trenta di Ivan Maussion, la fotografia luminosa e avvolgente di Eduardo Serra e una coppia di interpreti straordinari nel creare un sottotesto fatto di piccoli gesti e di sguardi. |
da L'Unità (Dario Zonta) |
...Atmosfere, dettagli, personaggi particolari, storie di incontri strani... insomma Leconte. O il solito Leconte, qui più denso in una storia che si fa dramma psicologico o crisi della psicanalisi. Si dice che Leconte faccia un cinema di qualità europea, dando a questa definizione una connotazione blandamente negativa quando la qualità è media o un'accezione blandamente positiva quando la qualità è buona. In entrambi i casi risuona l'eco di uno «standard», cui il cinema europeo «di qualità» si deve attenere per poter raggiungere la «media» (ora matematica, ora estetica, ora geografica....). Ovvero: una storia accattivante, attori di livello, la giusta atmosfera, una certa attenzione per il dettaglio, una fotografia illustrata, una regia piana e l'assenza di eccessive espressioni nazionali o locali. Il cinema di Leconte rischia questa insapore qualità, anche se la sua è «alta» o tende ad esserlo. Manca (ad essere fiscali!) il «marcio», il buco nero del dramma che i personaggi vivono. Confidenze troppo intime dovrebbe essere in verità un film addirittura tragico (la tragedia della solitudine dei fiscalisti, verrebbe da dire), ma si ferma al dramma psicologico, che pur buono soffre la staticità del suo essere troppo sofisticato. |
LUX
- dicembre 2004