La ricerca della verità sul tragico destino di una ragazzina viziata (Melanie Griffith) si intreccia con i problemi personali del detective privato Harry Mosebv (Gene Hackman): tradito dalla moglie, licenziato dalla cliente cercherà disperatamente di trovare almeno un senso alla propria vita. Scritto da Alan Sharp, un noir in sintonia con l’era post Watergate, dove il disagio nasce dal caos della realtà e nessun mistero può essere risolto: allontanandosi deliberatamente dalle coordinate di genere, il film «spoglia il personaggio del detective del suo statuto privilegiato di interprete dei segni» facendo di Harry un investigatore che si sbaglia su tutta la linea. Con uno stile che in Penn non è mai stato altrettanto lirico e poetico, il film approfondisce il tema centrale della sua ricerca d’autore, il tentativo di conciliare il caos del mondo con l’aspirazione all’ordine, di dare un senso a quello che è assurdo, e lo fa – coerentemente – a spese dell’eroe, incapace di vedere chiaro dentro se stesso così come non riesce a capire davvero quello che gli succede intorno, tradito dalla moglie (che con uno sberleffo cinefilo il regista manda al cinema con l’amante a vedere La mia notte con Maud di Rohmer) e abbandonato dai clienti. E Hackman, qui davvero superlativo, offre «uno dei migliori ritratti di perdente del cinema degli anni Settanta». |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti |
cinema invisibile TORRESINO febbraio-giugno 2011 - A.PENN: piccoli, grandi protagonisti del malessere americano