Chissà
se Catherine Deneuve, presidente in giuria, troverà il tempo per
vedere
Belle toujours – Bella sempre
(Fuori concorso). Chissà se ne resterà folgorata come noi, chissà se
rimpiangerà di non aver accettato di riappropriarsi del ruolo di
Severine da lei interpretato in
Belle de jour - Bella di giorno.
Il nuovo film di
Manoel de Oliveira è infatti un anomalo sequel del capolavoro del 1967
(Leone d’oro!), con il quale il novantottenne maestro portoghese ha
voluto rendere omaggio a “due personalità uniche” come Luìs Buñuel
(regista) e Jean-Claude Carriere (sceneggiatore). Ma l’omaggio vero è
quello che egli riesce a rendere a se stesso, capace com’è, alla sua
veneranda età, di brillare per sagace spirito di scrittura, per una
messa in scena impeccabile.
Travolgente, nella sua essenzialità, la sequenza iniziale, con oltre
cinque minuti di camera fissa sull’appassionata esecuzione della
Sinfonia n° 8 di Dvořák da parte della Gulbenkian Orchestra.
Passati i titoli di testa la macchina da
presa si posa su Husson (Michel
Piccoli) che freme sulla sedia perché, tra il pubblico, ha intravisto
Séverine…
È d’obbligo a questo punto un minimo rimando alla trama di
Bella di giorno
in cui Séverine (Catherine Deneuve), bella moglie – trascurata - di un
chirurgo (Pierre), fa sfociare la propria insoddisfazione in
un’esistenza estrema: si lascia andare a strane fantasie
sadomasochistiche, prostituendosi in una casa di appuntamenti, dove
deve subire la veemente passione di un giovane delinquente (Marcel).
Finale tragico con Marcel che viene ucciso dalla polizia mentre Pierre
rimane paralizzato. Il suo amico Husson (Michel Piccoli), che ha
seguito con partecipe interesse la vita perduta di Séverine, gli avrà
rivelato la verità?
Ora, trentott’anni dopo, l’incontro è affidato alla alcolica baldanza
senile di Piccoli mentre Séverine (qui Bulle Ogier) cerca di evitarlo
in tutti i modi. Dopo l’Opera il punto di contatto potrebbe essere un
bar del centro, ma lei gli sfugge di nuovo e a Husson-Piccoli non
resta che ordinare una serie di whisky doppi (senza ghiaccio) e
chiacchierare col barista. La situazione, che si ripeterà, diventa il
corpo centrale del film a cui fanno da cornice due “angeliche”
prostitute (“niente mariti da ingannare, niente cose da nascondere”);
ma è soprattutto l’occasione per rivivere il passato: Husson racconta
“una storia che non è mai esistita”, il barman riceve una
inconsueta confessione sado-maso, lo spettatore rinverdisce il ricordo
di surreali perversioni.
Poi, casualmente, Husson reincontra Séverine e, con la promessa di
rivelarle se il marito abbia mai saputo, da lui, la verità, riesce ad
invitarla a cena. Al lume di candela de Oliverira lascia alle loro
voci l’onere di immergersi nei rimpianti del tempo andato (“siamo
qui a rievocare le nostre malvagità” - “abbiamo di fronte un passato
vissuto male, un futuro di vecchiaia, l’impossibilità di cambiare ciò
che avremmo voluto fare diversamente”), affida al proprio stile
rigoroso la composizione figurativa: da un’inquadratura laterale
“distaccata”, a una pacata serie di campi-controcampi fino a un campo
medio che fotografa Husson e Séverine sul controluce di una grande
finestra. Lei ricorda quella lacrima sul volto inespressivo del
marito, lui le regala la misteriosa scatola cinese che allora l’aveva
turbata (recuperata da un antiquario), ma glissa sulla fatidica
risposta. Séverine rovescia la tavola e se ne va. Sulla porta aperta,
compare per una momento un gallo (citazione!), ma l’inquadratura clou,
in chiusura, resta ancora per Parigi. In fondo è lei la protagonista
(di)
Bella sempre:
ancorata su Les Invalides (di giorno) e sul faro della torre Eiffel
(la notte), la macchina da presa di de Oliveira contrappunta la
vicenda di Husson e Séverine con un tocco d’atmosfera che solo la
città francese può dare. Così come è solo da lui che può venire uno
stile così sublime, fatto di movimenti di macchina ridotti al minimo,
dialoghi ipnotici, emozioni trattenute. La lentezza suadente di un
piccolo (70’) nuovo capolavoro.