Oggi, a Madrid. Un mattino César si sveglia
e trova la città deserta. Evidentemente sta sognando, perché
poi si sveglia un'altra volta e la vita attorno a lui scorre normalmente.
Ma qualcosa deve essere successo perché lo vediamo, con una maschera
sulla faccia, rinchiuso in un manicomio criminale e interrogato da uno
psicologo. Pare che abbia ammazzato qualcuno…
Nessun film si può raccontare a parole, ma ci sono film che si possono
raccontare meno di altri. Tra questi c'è sicuramente
Apri gli
occhi, che è un folle puzzle dove non si è sicuri di
niente, tutto quello che ci scorre davanti agli occhi può essere
indifferentemente vero o falso, realtà o sogno, e si nega continuamente
man mano il racconto procede. Dunque il riassunto serve a poco perché
non si può sulla pagina dare un'idea neppure approssimativa delle
capriole che vi si compiono (d'alto virtuosismo, diciamolo subito: il risultato
è di straordinaria suggestione, impossibile non rimanere vittime
del sofisticatissimo intreccio). Detto in altre parole, staccare la fabula
dal racconto è qui operazione particolarmente ardua. E che si dovrebbe
dire, poi, dell'esercizio "critico", come riuscire a dare un'idea
del testo proposto?
"Apri gli occhi", scandisce più volte una voce
subito all'inizio, ma serve a poco aprirli, scendere dal letto, vestirsi
e uscire per la strada, perché ci si accorge di stare sempre sognando.
Poi viene il risveglio "vero", ma fino a che punto lo è?
Tanto che nel finale ancora la solita voce ci invita ad aprire gli occhi.
Concludere che tutto il film è un intero sogno è riduttivo,
anche se potremmo essere autorizzati a pensarlo da un particolare dell'inizio:
quando César, il giovane protagonista, scende in strada dopo essersi
risvegliato "veramente", tra la gente che affolla la città
vediamo una troupe cinematografica che sta girando un film. O, magari,
questo film, quello che stiamo vedendo. Il fatto è che il sogno
viene affermato e negato continuamente non soltanto dalla successione e
dagli incastri degli avvenimenti, ma dagli stessi partecipanti al gioco
(usiamo questo termine non nel senso di ludus ma in quello di meccanismo,
di congegno): ad un certo punto al personaggio dello psicologo che vorrebbe
scoprire la verità Stefano rivela che stanno ambedue continuando
in quel momento un'esistenza virtuale iniziata tempo prima, e lo scienziato
tenta di ribellarsi alla situazione ("Io so di essere reale, ho
una mia vita privata, degli affetti cui tu sei estraneo: guardami, toccami,
ti sembro un sogno io?"), ma è costretto poi, con sgomento,
ad accettare il fatto che lui stesso si trova "dentro" il sogno
di César. Ma quello scienziato siamo noi spettatori, anche noi - davanti
al film - ci troviamo nella sua situazione, partecipi dell'incubo… |