gennaio-febbraio
marzo 2008

trimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 22
Reg.1757 (PD 20/08/01)

pag. 3


8 - 16 marzo

    In fondo, si sa la, vera attrattiva del Bergamo Film Meeting sono le memorabili retrospettive più che i film in concorso, pur con qualche eccezione.
Quest’anno la parte del leone l’ha fatta
René Clair, grande regista e sceneggiatore francese morto nel 1981, con una retrospettiva di 20 titoli che spaziano da Sous le toits de Paris del 1930 a Tout l’or du monde del 1961.
Particolarmente apprezzato dal pubblico
Le million del 1931, vero caposaldo del cinema, con una surreale comicità alla Buster Keaton mista ad uno stile musical, con canzoni che si alternano a sequenze di grande respiro e che coinvolgono, collettivamente o alternati, un gran numero di personaggi: ognuno insegue uno scopo simile eppure diverso così come lo sguardo della macchina da presa insegue ora uno ora l’altro... Anche in sceneggiatura emergono la mano (e la penna) geniali di Clair, che pur costruendo un racconto carico di vis comica non rinuncia ai colpi di scena, soprattutto nella seconda parte (dove la vicenda entra nel vivo), coinvolgendo lo spettatore fino a farlo dubitare dell’esito finale, portandolo a dimenticare che il film è in realtà tutto un lungo flashback.
Più tradizionale la comicità “inglese” di
The Ghost Goes West, zeppo di battute sugli americani e sugli scozzesi (ognuno immagine dei suoi stereotipi), incentrato su una idea innovativa (un fantasma che “trasloca” con il suo castello negli Stati Uniti) ma che si affida a trucchi che oggi appaiono banali: l’assoluta somiglianza fra Donald Glourie e il suo antenato Murdoch, entrambi interpretati da Robert Donat, è lo strumento che permette di creare una commedia degli equivoci tra lui/loro e Peggy (Jean Parker), la figlia dei ricchi acquirenti americani del castello.
Tra le altre numerose pellicole presentate,
And Then There Were None ha riempito la sala e suscitato lunghi applausi. Qui il merito della sceneggiatura (a firma di Clair) va equamente condiviso con Agatha Christie, autrice del libro (omonimo in America, Dieci Piccoli Indiani in Europa). La storia è portata avanti soprattutto dalla bravura degli attori e il regista appare qui più discreto, affidandosi alle ottime prove interpretative del suo cast.
Una sorta di mini-retrospettiva è stata anche la rassegna-omaggio a
Freddie Francis, con 12 titoli del regista/direttore della fotografia, tra cui spicca per intensità e forza visiva La donna del tenente francese con una splendida Meryl Streep nel doppio ruolo dell’attrice cinematografica Anne e del personaggio da lei interpretato (la Donna del titolo di pessima reputazione), entrambe amanti di un giovane Jeremy Irons (attore/personaggio) poi abbandonato in un crescendo parallelo di passione e disillusione. La fotografia di Francis si carica di colore in particolare nelle scene di natura, ma anche nel contrasto tra la variopinta realtà della campagna vittoriana e la nera figura della donna-Streep. Il tutto arricchito dalla regia sapiente di Reisz e da uno sceneggiatore di eccezione, Pinter (recente Nobel).
Quest’anno comunque anche il concorso ci è sembrato più coinvolgente di altre volte, con diversi film decisamente gradevoli. Il nostro preferito è stato il terzo qualificato ex aequo (premiato “virtualmente” causa scarsità materiale di trofei già preparati per la consegna),
Przebacz (Perdono) di Marek Stacharski, polacco, che sa manovrare la macchina da presa con una sorprendente abilità che stacca il film dalla massa delle “opere prime di artista improvvisato” che costellano talora il Festival (ma la sceneggiatura -dello stesso Stacharski - appare talora scontata o artificiosa).
La vittoria, e la Rosa Camuna, sono arrise comunque al finlandese
Miehen työ, regia e sceneggiatura di Aleksi Salmenperä, che trova nella trama originale il suo punto di forza (un uomo, licenziato, aiuta donne sole a “rilassarsi”) per una commedia amara sulla necessità di arrangiarsi.
Unica delusione il cinema italiano. Il film in concorso di Stefano Chiantini,
Una piccola storia, è talmente piatto in termini di trama ed interpretazione che, fortunatamente, nemmeno l’orgoglio nazionalistico è bastato a conquistargli un posto sul podio. Le battute scadenti, che hanno scatenato una disarmante ilarità in sala, si sommano alla scarsezza dei contenuti e alla bassa qualità delle immagini.
Anche la proiezione (in anteprima dopo la presenza in concorso a Venezia) di
Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi lascia l’amaro in bocca: la totale desolazione, forse in parte voluta nella trama, si estende all’opera intera. L’impegno degli interpreti principali non riesce a risollevare quello che avrebbe dovuto essere un noir esistenziale, ma che appare invece un pesante susseguirsi di musiche invadenti e di gratuite scene di sesso e di nudo, che anziché dare spessore al dramma aumentano semmai lo squallore imperante. Per consolarci attendiamo l’uscita in sala di un altro reduce veneziano di ben altra caratura, Non pensarci. Il nostro cinema ha bisogno davvero di una boccata di aria(/regia) fresca.

Giacomo Leoni e Anna Santucci