In
fondo, si sa la, vera attrattiva del
Bergamo Film Meeting
sono le memorabili retrospettive più che i film in concorso, pur con
qualche eccezione.
Quest’anno la parte del leone l’ha fatta
René Clair,
grande regista e sceneggiatore francese morto nel 1981, con una
retrospettiva di 20 titoli che spaziano
da
Sous le toits de Paris
del 1930 a
Tout l’or du monde del 1961.
Particolarmente apprezzato dal pubblico
Le million
del 1931, vero caposaldo del
cinema, con una surreale comicità alla Buster Keaton mista ad uno stile
musical, con canzoni che si alternano a sequenze di grande respiro e che
coinvolgono, collettivamente o alternati, un gran numero di personaggi:
ognuno insegue uno scopo simile eppure diverso così come lo sguardo della
macchina da presa insegue ora uno ora l’altro... Anche in sceneggiatura
emergono la mano (e la penna) geniali di Clair, che pur costruendo un
racconto carico di vis comica non rinuncia ai colpi di scena, soprattutto
nella seconda parte (dove la vicenda entra nel vivo), coinvolgendo lo
spettatore fino a farlo dubitare dell’esito finale, portandolo a
dimenticare che il film è in realtà tutto un lungo flashback.
Più tradizionale la comicità “inglese” di
The Ghost Goes West,
zeppo di battute sugli americani e sugli scozzesi (ognuno immagine dei
suoi stereotipi), incentrato su una idea innovativa (un fantasma che
“trasloca” con il suo castello negli Stati Uniti) ma che si affida a
trucchi che oggi appaiono banali: l’assoluta somiglianza fra Donald
Glourie e il suo antenato Murdoch, entrambi interpretati da Robert Donat,
è lo strumento che permette di creare una commedia degli equivoci tra
lui/loro e Peggy (Jean Parker), la figlia dei ricchi acquirenti americani
del castello.
Tra le altre numerose pellicole presentate,
And Then There Were
None ha riempito la sala e
suscitato lunghi applausi. Qui il merito della sceneggiatura (a firma di Clair) va equamente condiviso con Agatha Christie, autrice del libro
(omonimo in America, Dieci Piccoli Indiani in Europa). La storia è portata
avanti soprattutto dalla bravura degli attori e il regista appare qui più
discreto, affidandosi alle ottime prove interpretative del suo cast.
Una sorta di mini-retrospettiva è stata anche la
rassegna-omaggio a
Freddie
Francis, con 12 titoli del
regista/direttore della fotografia, tra cui spicca per intensità e forza
visiva La donna del tenente francese
con una splendida Meryl Streep nel
doppio ruolo dell’attrice cinematografica Anne e del personaggio da lei
interpretato (la Donna del titolo di pessima reputazione), entrambe amanti
di un giovane Jeremy Irons (attore/personaggio) poi abbandonato in un
crescendo parallelo di passione e disillusione. La fotografia di Francis
si carica di colore in particolare nelle scene di natura, ma anche nel
contrasto tra la variopinta realtà della campagna vittoriana e la nera
figura della donna-Streep. Il tutto arricchito dalla regia sapiente di
Reisz e da uno sceneggiatore di eccezione, Pinter (recente Nobel).
Quest’anno comunque anche il
concorso ci è sembrato più
coinvolgente di altre volte, con diversi film decisamente gradevoli.
Il nostro preferito è stato il terzo qualificato ex aequo (premiato
“virtualmente” causa scarsità materiale di trofei già preparati per la
consegna),
Przebacz (Perdono) di Marek
Stacharski, polacco, che sa manovrare la macchina da presa con una
sorprendente abilità che stacca il film dalla massa delle “opere prime di
artista improvvisato” che costellano talora il Festival (ma la
sceneggiatura -dello stesso Stacharski - appare talora scontata o
artificiosa).
La vittoria, e la Rosa Camuna, sono arrise
comunque al finlandese
Miehen työ,
regia e sceneggiatura di Aleksi Salmenperä, che trova nella trama
originale il suo punto di forza (un uomo, licenziato, aiuta donne sole a
“rilassarsi”) per una commedia amara sulla necessità di arrangiarsi.
Unica delusione il cinema italiano. Il film in concorso di Stefano
Chiantini,
Una piccola storia, è
talmente piatto in termini di trama ed interpretazione che,
fortunatamente, nemmeno l’orgoglio nazionalistico è bastato a
conquistargli un posto sul podio. Le battute scadenti, che hanno scatenato
una disarmante ilarità in sala, si sommano alla scarsezza dei contenuti e
alla bassa qualità delle immagini.
Anche la proiezione (in anteprima dopo la presenza in concorso a Venezia)
di Nessuna
qualità agli eroi di Paolo
Franchi lascia l’amaro in bocca: la totale desolazione, forse in parte
voluta nella trama, si estende all’opera intera. L’impegno degli
interpreti principali non riesce a risollevare quello che avrebbe dovuto
essere un noir esistenziale, ma che appare invece un pesante susseguirsi
di musiche invadenti e di gratuite scene di sesso e di nudo, che anziché
dare spessore al dramma aumentano semmai lo squallore imperante. Per
consolarci attendiamo l’uscita in sala di un altro reduce veneziano di ben
altra caratura,
Non pensarci. Il
nostro cinema ha bisogno davvero di una boccata di aria(/regia) fresca.
Giacomo Leoni e Anna
Santucci |