Bisogna
davvero concordare con Anna Maria Percavassi, direttrice
artistica del
Trieste Film Festival,
che nella presentazione del catalogo sottolinea la ricchezza e
la qualità del programma.
L’offerta è stata tanta, nel senso più latino del termine, per
un evento che sceglie una città come Trieste, crocevia per
eccellenza della cultura mitteleuropea, ‘adattato’, per
l’occasione, all’oltre, all’Altrove, visto come spazio,
nazionalità, cinematografia di un Altro da Sé che si espandeva
dalla Ucraina alla Romania, dall’Estonia alla Mongolia: per
riunire confini lontani dalla omologazione, ma ben vicini all’homo
sum, nihil umani mihi alienum puto di lucreziana memoria.
Una settimana, quella
dal 19 al 26
gennaio,
che ha proposto più di 120 film articolati in tre concorsi
internazionali, due sezioni (Immagini e Zone di
cinema), tre monografie (Update Deutschland -
Bohumil Hrabal. Il cinema sul fondo - Ritratto di
Famiglia. I Guerman) e due omaggi, uno a Rossellini
(anno cento!) e l’altro a Silvan Furlan. E in più
tavole rotonde, presentazioni di libri (da segnalare
Nata in Istria di Anna Maria Mori) e di progetti già
avviati, incontri con autori, attori, scrittori, personalità
del mondo dell’arte e della cultura internazionale,
performances di musica e danza, anteprime...
Tanti, e variegati, anche i premi: il più importante, il
Premio Trieste (offerto
dal Comune della città al "miglior lungometraggio") è andato
Mortea domnului Lāzārescu
(La morte del signor
Lazarescu), film rumeno di Cristi Puiu, che è riuscito a
trattare con essenzialità ed universalità una ‘storia
semplice’, riuscendo ad attribuirle un ultravalore metaforico
e simbolico di alta concezione (non per niente era risultato
vincitore anche all’ultimo Festival di Cannes, nella sezione
Un certain regard).
Il
Premio Laboratorio Mediterraneo
per il miglior corto è stato attribuito a Slavek the Shit di
Grimur Hàkonarson, una coproduzione islandese, ceca, estone.
La Giuria Internazionale dei Documentari ha poi assegnato
all’unanimità il
Premio Alpe Adria
Cinema a
Oyun –
La rappresentazione teatrale/The play
del turco Pelin Esmer
(intelligenza e sensibilità artistica per una ritratto della
condizione delle donne di grande attualità), mentre il
lungometraggio Leidi
Zi- La signora Zi/Lady Zee
si è aggiudicato il
Premio CEI
(Central European Iniziative).
Tra i
premi del pubblico,
infine, va segnalato quello per il
miglior lungometraggio
che ha insignito
Mistrz/Maestro/Master,
film polacco-tedesco firmato Piotr Trzaskalski, di grande
impatto emozionale. Una storia di sentimenti, luoghi,
persone sapientemente intrecciata, con tocchi di surrealismo
che ben riescono a sottolineare, a volte con inconsapevole
ironia, il male di vivere, il dolente condizionamento dei
rapporti interpersonali, delle scelte individuali che, spesso,
riescono ad uccidere chi si ama, in nome di una malcelata
insicurezza, di una dannosa autodistruzione. Splendida la
fotografia di Piotr Sliskowski e memorabile la colonna sonora,
che spazia dal dolcissimo secondo movimento del Concerto in
Fa di Alexander Scriabin a pezzi originali che rimandano
nelle assonanze, al primo Nyman.
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Cinema
d’animazione e ‘civiltà e cultura’ digitali sono
stati ancora una volta l'anima del
Future Film Festival (dal
18 al 22 gennaio),
giunto alla sua
8a
edizione.
Tra eventi speciali e retrospettive, anteprime ed omaggi-cult (come quelli a grandi maestri quali Jiri
Trnka e Jannik Hastrup) spicca l'occasione
dell'incontro con Carlos Grangel, apprezzatissimo
character-designer spagnolo, ora più che mai in auge
per il suo contributo, dopo
Madagascar
e
Shrek 2, anche
a La sposa cadavere di Tim Burton.
“…Fui chiamato da Tim Burton tre anni e mezzo fa,
dopo che lui aveva visto un mio corto. L’idea de
La Sposa cadavere l’aveva in testa da
sette anni, ma non aveva ancora scritto la
sceneggiatura. Lo stile della mia operina gli
piacque e lo ritenne …sposabile con il suo, proprio
per realizzare La Sposa cadavere. Burton voleva
fosse un film europeo, molto più di Nightmare
before Christmas, anche se il
riferimento-omaggio è evidente.
L’idea originale è tratta da una fiaba russa che
Burton ha voluto trasferire in una Londra
vittoriana… La collaborazione con Tim è stata
fantastica: lui è un ottimo disegnatore ed
acquarellista (è stato uno story-boarder della Walt
Disney) e suoi sono i disegni iniziali del film.
Ha una grande capacità comunicativa con i suoi
collaboratori: per disegnare e lavorare al meglio,
riesce ad usare un linguaggio universale, anche se
non pensa mai come una persona…normale. Per esempio
uno dei personaggi del film, il verme, ha il volto
di Peter Lorre, un attore molto amato da Burton…
Il mondo dei morti, nel film, è molto più colorato
ed allegro del mondo degli esseri veiventi, perché
più significativo e, paradossalmente, "vivo". Ho ben
in mente alcune affermazioni che Tim espresse
a suo tempo quale chiave di lettura del suo cinema e
che ben si adattano a La sposa cadavere: “…Da bambino non erano i mostri ma gli esseri
umani a preoccuparmi. Anzi, sentivo un forte legame
con i mostri, come molti altri bambini, suppongo…E
sapete perché? Perché nei classici film dell’orrore
era il mostro a testimoniare sentimenti umani… ”.
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