La
vita non è bella. Nessuno narra al protagonista, Gyuri, ragazzo
ungherese ebreo di (Buda) Pest alcuna favola consolatrice. La prima
inquadratura lo mostra con la stella di David, gialla, cucita sul
cappotto. Lui quasi quasi se ne pavoneggia, ancora non sa… Presto
subirà le conseguenze di quel contrassegno ed anche lo spettatore
‘vivrà’ con lui a Buchenwald, senza allegria.
Un concetto di estraneità pervade il film, dall’inizio alla fine:
colpa? merito? di quella fotografia virata seppia, distante,
volutamente fredda, che prende tutte le tonalità del marrone, colore
della memoria, ma anche dell’angoscia, dell’estraniamento dell’altro
da sé. Che altri non è che un se stesso morto due volte, la
seconda delle quali solo per sopravvivere, sempre e comunque
(come narra la voce - di sé - fuori campo)...
In fondo la felicità è dietro l’angolo, anche ‘durante’
Mathausen, Auschwitz, Bergen Belsen, Buchenwald… È tangibile in quei
brevi momenti di pausa, attimi di felicità sospese tra la follia di
quel vivere, istanti che permettevano di sperare in Altrove dove
ritrovare un futuro sicuramente migliore... È soavemente afferrabile,
a patto di riuscire a dimenticare quelle atrocità, almeno per un
momento...
Senza destino - Fateless
che
tanto successo ha ottenuto alla Berlinale prima, al
Trieste Film Festival poi, è un'accorata dedica per il Giorno
della Memoria, per i Giorni della Memoria ed oltre... Interpretato con
misura, è diretto con prezioso ed essenziale equilibrio, da Lajos
Koltai, già direttore della fotografia di fama internazionale (Mephisto,
La leggenda del pianista sull'oceano, Malena). In questo suo debutto
come regista Koltai non dimentica la sua prima vocazione e,
spaziando tra le tonalità di quel colore non colore, imprime ad
ogni fotogramma un’aura di sofferta, inderogabile memoria.
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