ottobre 2002

bimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 4
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

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Cosa resta "negli occhi" di questo 59° festival? Certo le code più ordinate e svelte per pubblico e stampa (grazie Lughi!), la disponibilità di De Hadeln in passerella davanti al casinò per la festicciola-premiazione di Ippoliti (davvero deprimente la presenza "significativa" del suo Ridateci i soldi), la fugace visione di Catherine Denevue e Julianne Moore. E il cinema? Sempre di più i film faticano a quadrare il cerchio di una "tenuta" emozionale e stilistica che copra l'intero arco della proiezione. Splendide scene madri, memorabili sequenze fanno da fulcro per l'archiviazione cinefila nell'immaginario collettivo: e allora, vista la mancanza di opere-capolavoro, consoliamoci con scene-cult che, da sole, facciano venire voglia di rivedere una pellicola o di consigliarla...

ezio leoni    


Sotto una pioggia incessante, riparandosi con gli ombrelli, escono dal ristorante e si dirigono alla macchina. Il buio è squarciato
dai lampi di un'arma da fuoco, ma il rumore è ovattato da quello della pioggia. Gli uomini cadono come birilli e John Rooney (Paul Newman) resta solo per la resa dei conti con Michael Sullivan (Tom Hanks), che esce alfine dall'ombra... Viene quasi da pensare che Sam Mendes abbia costruito il suo Road to Perdition (bello, possente, "tradizionale") pensando a questa scena clou (e a quella conclusiva). La riuscita del film è indiscussa, ma quella strage sotto la pioggia è un gradino sopra il resto!

  Ancora pioggia battente, ma una luce fredda, quasi spettrale, esalta i chiaroscuri della notte e il contrasto iper-reale del bianco e nero / blu  per lo striptease straziante ed erotico di Rokugatsu no hebi (A Snake of June). Lei (Rinko) si è lasciata invischiare in un gioco estenuante di esibizionismo-voyieurismo: sotto la pioggia, con un vibratore tra le gambe, si abbandona ad un sensuale spogliarello mentre dall'auto il suo spasimante-ricattatore la "possiede" con una ininterrotta sequenza di flash e scatti fotografici. I lampi del flash illuminano la scena in modo sincopato. L'alterno disvelarsi del corpo di Rinko, tra gli abbaglianti colpi di luce e il filtro nebuloso dello scrosciare dell'acqua, ha un fascino ambiguo e sofferto. Gioie e dolori del voyieurismo cinefilo.


Le eleganti camere di un hotel londinese trasformate in precarie sale chirurgiche, il trapianto d'organi come passpartout per una vita migliore. Con
Dirty Pretty Things il sarcasmo esperto di Frears si stempera in momenti di sorridente ottimismo. E a fare da cardine tra le contrapposte situazioni, il momento topico della consegna di un rene espiantato.
Okwe, medico nigeriano ridotto a fare il tassista e il portiere d'albergo, Senay immigrata turca che lavora clandestinamente come donna delle pulizie e Juliette, disinibita prostituta loro amica, lo affidano al corriere di turno. Quando questi si stupisce nel trovarsi di fronte all'insolito terzetto, Okwe gli risponde: "Siamo quelli che guidano i vostri taxi, puliscono le vostre stanze, succhiano i vostri cazzi". E Juliette, istintivamnete, non riesce a non alzare la mano. Come a dire: se c'è bisogno...

Un ritmo rock duro e incalzante accompagna la corsa disperata di Lilja. Il paesaggio è quello urbano, cemento e ringhiere delimitano la strada che la ragazza percorre, il suo volto è segnato da una violenza incombente, tumefatto e angosciato...
L'incipit di
Lilja 4-Ever inquadra in una riuscitissima sintesi drammaturgica l'amara esistenza di un'adolescente perduta. Non c'è sbocco per la giovane Lilja di Lukas Moodysson,
né in una degradata Unione Sovietica né nella cinica Svezia del benessere. L'impatto delle prime immagini è diretto ed efficace e, a livello stilistico (e rispetto all'oppressivo svolgersi del racconto), quasi esaustivo!

Naqoyqatsi inizia alla grande, con l'imponente, ipnotica fascinazione con cui Godfrey Reggio sa coniugare immagini e musica. Palazzi sontuosi e decadenti scorrono sullo schermo. Le inquadrature, i movimenti della macchina da presa li descrivono come oggetti "viventi" a cui danno voce un'orchestrazione sonora iperaccelerata, vibrante di una partitura ossessiva (Philip Glass) in cui fa da padrone l'appassionato violoncello di Yo-Yo Ma. Immagini e suoni si accarezzano reciprocamente, si esaltano a vicenda e lo schermo si inebria di un'insolita compenetrazione mistico-architettonica, che chiude la trilogia filmico-concertistica aperta con Koyaanisqatsi (1984) e proseguta con Powaqqatsi (1987). Nel seguito la visione di Naqoyqatsi non ha lo stesso effetto inebriante e catartico, ma questi primi minuti valgono, da soli, un'appunto sublime nel nostro cine-immaginario.

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