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Cosa resta "negli occhi"
di questo 59° festival? Certo le code più ordinate e svelte per
pubblico e stampa (grazie Lughi!), la disponibilità di
De Hadeln in passerella
davanti al casinò per la festicciola-premiazione di Ippoliti
(davvero deprimente la presenza "significativa" del suo
Ridateci i soldi), la fugace visione di Catherine Denevue e
Julianne Moore. E il cinema? Sempre di più i film faticano a
quadrare il cerchio di una "tenuta" emozionale e stilistica che
copra l'intero arco della proiezione. Splendide scene madri,
memorabili sequenze fanno da fulcro per l'archiviazione cinefila
nell'immaginario collettivo: e allora, vista la mancanza di
opere-capolavoro, consoliamoci con scene-cult che, da sole,
facciano venire voglia di rivedere una pellicola o di
consigliarla...
ezio leoni
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Sotto
una pioggia incessante, riparandosi con gli ombrelli, escono dal
ristorante e si dirigono alla macchina. Il buio è squarciato
dai
lampi di un'arma da fuoco, ma il rumore è ovattato da quello
della pioggia.
Gli
uomini cadono come birilli e John Rooney (Paul Newman) resta
solo per la resa dei conti con Michael Sullivan (Tom Hanks), che
esce alfine dall'ombra... Viene quasi da pensare che Sam Mendes
abbia costruito
il suo
Road to Perdition
(bello, possente, "tradizionale") pensando a questa scena clou
(e a quella conclusiva). La riuscita del film è indiscussa, ma
quella strage sotto la pioggia è un gradino sopra il resto!
Le eleganti camere di un hotel londinese trasformate in precarie
sale chirurgiche, il trapianto d'organi come passpartout per una
vita migliore. Con
Dirty Pretty Things
il sarcasmo esperto di Frears si stempera in momenti di
sorridente ottimismo. E a fare da cardine tra le contrapposte
situazioni, il momento topico della consegna di un rene espiantato.
Okwe, medico nigeriano ridotto a fare il tassista e il portiere
d'albergo, Senay immigrata turca che lavora clandestinamente
come donna delle pulizie e Juliette, disinibita prostituta loro
amica, lo affidano al corriere di turno. Quando questi si
stupisce nel trovarsi di fronte all'insolito terzetto, Okwe gli
risponde: "Siamo quelli che guidano i vostri taxi, puliscono
le vostre stanze, succhiano i vostri cazzi". E Juliette,
istintivamnete, non riesce a non alzare la mano. Come a dire:
se c'è bisogno...
Un ritmo rock duro e
incalzante accompagna la corsa disperata di Lilja.
Il paesaggio
è quello urbano, cemento e ringhiere delimitano
la strada che la ragazza percorre, il suo volto è segnato da una
violenza incombente, tumefatto e angosciato...
L'incipit di
Lilja 4-Ever inquadra in
una riuscitissima sintesi drammaturgica l'amara esistenza di
un'adolescente perduta. Non c'è sbocco per la giovane Lilja di Lukas Moodysson,
né in una degradata Unione Sovietica né nella cinica Svezia del
benessere. L'impatto delle prime immagini è diretto ed efficace
e, a livello stilistico (e rispetto all'oppressivo svolgersi del
racconto), quasi esaustivo!
Naqoyqatsi
inizia alla grande, con l'imponente, ipnotica fascinazione con
cui Godfrey Reggio sa coniugare immagini e musica. Palazzi sontuosi
e decadenti scorrono sullo schermo. Le inquadrature, i movimenti
della macchina da presa li descrivono come oggetti "viventi"
a cui danno voce un'orchestrazione sonora iperaccelerata, vibrante
di una partitura ossessiva (Philip Glass) in cui fa da padrone
l'appassionato violoncello di Yo-Yo Ma. Immagini e suoni si
accarezzano reciprocamente, si esaltano a vicenda e lo schermo
si inebria di un'insolita compenetrazione mistico-architettonica,
che chiude la trilogia filmico-concertistica
aperta con
Koyaanisqatsi
(1984) e proseguta con Powaqqatsi
(1987). Nel seguito la visione
di Naqoyqatsi non ha lo stesso effetto inebriante e catartico,
ma questi primi minuti valgono, da soli, un'appunto sublime
nel nostro cine-immaginario.
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