La voce interiore di Hermann
torna a farsi sentire, forte, in
questo film conclusivo che affianca al fascino liberatorio di un puzzle
che si completa, la feconda irrisolutezza di un finale aperto ("tutto
ciò che avrei voluto realizzare era ancora davanti a me"), ma che
mostra, proprio all'arrivo di questa coinvolgente maratona narrativa, evidenti
segni di prolissità e stanchezza che fanno pendant con il sapore
amaro di una scelta esistenziale sbiadita e di un non-eroismo al culmine
dell'introspezione nostalgica. Hermann Simon ha visto franare le sue sicurezze
familiari ("odiavo i sentimenti spianati dal peso della quotidianità"),
inaridirsi la sua tensione artistica ("ero rauco, non avevo più
niente da dire") e nel buio del presente riscopre l'esigenza di
nuovi ideali ("volevo che finalmente si facesse giorno")
mentre sente ricomparire, lacerante, il ricordo e il desiderio della prima
patria ("la nostalgia riprende ad urlare dentro di me").
Eppure la fortuna professionale ancora una volta gli arride. Il console
Handschuh, che l'ha nel cuore come un figlio, gli offre l'eredità
del suo patrimonio pur di tenerselo vicino, ma ormai le incertezze del
giovane musicista sono diventate insoddisfazioni profonde ("ciò
che valeva tanto erano la mia giovinezza e il mio idealismo. Cominciavo
ad odiare queste due cose") e il bisogno del confronto con gli
amici di un tempo si fa irrinunciabile ("avevo bisogno di un consiglio").
Di quasi tutti però ha perso i contatti, anche l'"U-Boot"
ha chiuso i battenti e Clarissa, che nel frattempo ha rinunciato definitivamente
al violoncello e si è stancata del tepore familiare, si trova in turnè
con un gruppo femminile d'avanguardia in cui ha scoperto la sua identità
musicale di compositrice e cantante.
Hermann sfrutta di nuovo il suo prezioso abbonamento ferroviario e parte
sulle tracce di Clarissa. Fa capo nelle città che accolgono la sua
turnè, ma arriva puntualmente a spettacolo concluso così
che il suo appassionato inseguimento si risolve in un viaggio introspettivo
in cui il silenzio si rivela il sospirato consigliere ("finalmente
volevo tacere") e i giochi del caso offrono l'occasione per chiudere
la partita narrativa con i vari personaggi di
Die
zweite Heimat: in uno scompartimento incontra (o immagina di
incontrare) Renate, sempre imprevedibile nei suoi bizzarri travestimenti;
sui muri di Heidelberg vede su un manifesto, tra i ricercati della Baader-Meinhof,
la foto di Helga, e quando si imbatte in Schnüsschen e la piccola
Lulù (perse di vista dopo la separazione) le circostanze sono quelle
dello spettacolo di un circo alla periferia di Colonia, in cui Juan fa
l'acrobata...
E' un ennesimo intarsio di
situazioni che si sviluppano poi, seguendo un'azione di polizia
che perquisisce il treno su cui viaggia Hermann,
ferma quindi a un posto di blocco Stefan (che sta trasportando in
auto le pizze del suo film, L'angoscia tedesca, premiato
al festival di Veneziaquizn°2)
e arriva infine a fare irruzione proprio nella sua casa a Berlino:
lo spettro del terrorismo ha il volto indurito di Helga che con
i suoi amici si rifugiata per poche ore da Stefan, lasciandolo invischiato
nella tensione degli anni di piombo (nell'irruzione viene ferito
e dai titoli dei giornali sapremo che è in pericolo di vita).
Si accavallano altri frammenti di situazioni, luoghi e personaggi:
la foto di Stefan è stata fornita ai quotidiani da Elisabeth
(l'amica di Schnüsschen), ora fotografa, e nella sua collezione
di ritratti appare, giusto per un attimo (come nei riassunti iniziali
di
Heimat),
ancora un'istantanea della festa del matrimonio di sei anni prima
e tante altre immagini degli amici di un tempo. Nel suo peregrinare
Hermann passa per Dülmen (e mentre telefona da una cabina vede
passare Marianne) e quando alfine ad Amsterdam approda allo spettacolo-concerto
di Clarissa, in prima fila, tra il pubblico c'è Elisabeth
Cerphal col signor Gattinger...
Dopo tanti volti "estranei" e tanti percorsi narrativi
portati a compimento (in una breve sequenza assistiamo anche alla fine
di Alex, malato, stroncato dalla morte tra i suoi libri), lo spazio scenico
concesso infine all'incontro con Clarissa deborda in una performance di
teatro musicale di fastidiosa lungaggine: certo il momento topico del film
andava dilatato in un'atmosfera "lirica" anche per spiazzare
la riduttiva curiosità seriale che il fluire del racconto aveva
indotto nello spettatore, ma venti minuti (!!!) di mimo e neue musik sono
pesanti anche in un'opera come questa e rendono un cattivo servizio a questo
episodio conclusivo che già ha i suoi problemi nel chiudere la parabola
evolutiva di Hermann Simon.
Lo spettacolo di Clarissa, Passione da strega, diventa
per lui un tempo dilatato di sofferta attesa per l'incontro decisivo con
la donna amata, uno spazio-incubo in cui, tra l'enfaticità di testi
e musiche e il turbinio dei colori, sente su di sé l'abbraccio del
ricordo delle molte donne che hanno segnato la sua "seconda patria".
Quando alfine, in una camera d'albergo Hermann e Clarissa vivono la loro
notte di passione e rimpianti ("dieci anni ad aspettare, potremo
mai recuperarli?"), nella plasticità dei loro corpi nudi
si consuma tutto il romanticismo che la loro storia d'amore ha portato
con sé ("La quotidianità divora l'amore..."
- "Credo l'opposto: l'amore divora la quotidianità... Lo
sanno le stelle e quelle si sono fermate per noi stanotte"). Il mattino seguente però i ritmi della seconda patria
riprendono il sopravvento sulla quiete dei sentimenti e quando Hermann
torna in albergo con il suo mazzo di fiori in mano, Clarissa è già
partita per un'altra tappa della turné. Ancora solo, ancora in treno,
Hermann ha ormai l'animo sereno e le idee più chiare. La nuova meta
è l'Hunsrück, la Schabbach della sua infanzia dove la madre
sta per compiere settant'anni e dove lui dovrà ricercare in sé
la coscienza dei suoi ideali ("L'arte o la vita") e sedimentare
con pazienza le tumultuose esperienze della seconda patria nella serenità
della sua Heimat d'origine ("qui vorrei imparare ad aspettare").
Improvvisamente le immagini del giorno tornano a colori, il
vecchio
Glasisch lo accoglie con la cordialità di sempre ("non
sei cambiato per niente,
Hermanino")
e quell'inquadratura di una misera strada tra il verde dei campi
sembra, guarda caso, la stessa che apriva la prima puntata di
Heimat,
per raccontare il ritorno a casa di Paul Simon.
Circa
51 anni fa, 41 ore addietro.
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