Heimat 3 -
Cronaca di una svolta epocale |
TORRESINO - marzo-maggio 2005
Chi non conosce Heimat (1 e 2) ha tempo fino all’uscita italiana nelle sale (la Mikado la prevede per febbraio) per recuperarlo in video (circa 15 ore e 23 ore rispettivamente), chi ha ancora nostalgia di Hermann Simon e Clarissa, di Schnüsschen, Helga e gli altri, del puzzle di pubblico e privato, di musica e sentimenti che Edgar Reitz aveva costruito, partendo da Schabbach nell’Hunsrück (Heimat) ed approdando al fervore culturale della Monaco anni ‘60 (Heimat 2), farà bene ugualmente a dare una rinfrescata alla propria memoria poiché l’immergersi nel racconto di Heimat 3 - Cronaca di una svolta epocale necessita di precisi punti di riferimento personali, dato che Reitz si tuffa senza preamboli nel fatidico 1989 e, tra quanti assistono in diretta al crollo del Muro di Berlino, mette, fianco a fianco, con la programmatica casualità che lo contraddistingue, proprio Hermann e Clarissa.
Sono invecchiati, sono stati lontani quanto noi dai loro personaggi, ma si
ritrovano in un attimo presi dall’antica passione e, in una notte d’amore,
liquidano in un poche frasi il flash back narrativo (“una volta eravamo
innamorati - 17 anni fa, negli anni ’70 - siamo stati travolti da nostalgie e
contraddizioni…”), si buttano a corpo morto in una relazione matura che per
troppo tempo avevano procrastinato. |
|
ezio leoni - Il Mattino Padova 3 settembre 2003 |
|
TORRESINO - marzo-maggio 2005
|
|
Curiose le dinamiche “partecipative” che scaturiscono al Lido. Da una parte gli ululati che provengono dalla terrazza del Casinò dove i fotografi cercano di attirare l’attenzione dei divi per i loro scatti, dall’altra gli squittii da concerto-rock adolescenziale che hanno fatto da cornice all’arrivo in passerella di Tom Cruise. Da una parte il feeling giovanilista che affolla la proiezione del film di Gregg Araki (Misterious Skin, ancora uno stile personalissimo, ma meno estremizzante e più raffinato, ancora una storia torbida, di disagio, infanzie sotto trauma, sessualità perversa, psicologie deviate, baseball e alieni…), dall’altro l’abbraccio commosso (concreto, di persona) con Edgar Reitz di un pubblico maturo, nell’età e nella coscienza di aver preso parte ad una maratona cinematografica (6 film, 11 ore!) indimenticabile nella sua affascinante complessità, nella sua superba composizione, nella sua contagiosa intensità emotiva. HEIMAT 3 è un affresco sulla Germania riunificata (Il popolo più felice del mondo è il titolo del primo film/episodio), ma è soprattutto un mosaico di personaggi e psicologie che portano alla luce la diversa prospettiva esistenziale, greve e capitalistica, in cui sono stati immersi gli anni 90. Non più la tenace, sofferta storia nazionale del primo novecento (Heimat), non più il fervore artistico-trasgressivo dei ’60 (Heimat 2); ora, incernierata nella relazione ormai matura di Hermann e Clarissa, c’è una vicenda di largo respiro che si dipana tra eventi di riscontro sociale (Campioni del mondo e Arrivano i Russi - film 2 e film 3), ma che si incentra sui nuovi protagonisti venuti dall’Est e sulla saga dei Simon. I lavoranti Gunnar e Hudo hanno destini contrapposti: il primo viene lasciato dalla moglie e perderà le coordinate del proprio essere finendo addirittura in carcere per guida “alcolica”, il secondo ha piene soddisfazioni lavorative e familiari, ma alla soglia dei cinquanta avrà in ballo una relazione con una ventenne. Se Tillman scopre l’amore di Moni e apre un negozio di prodotti elettronici a Schabbach, Tobi, geniale carpentiere dall’animo freak, tornerà in Sassonia a confrontarsi con i propri legami sentimentali (e con una figliastra mongoloide).
Ma è la storia della famiglia Simon che via via riprende la centralità del racconto (ultimi tre film: Stanno tutti bene – Gli eredi – Congedo da Schabbach): Anton muore d’infarto prima di vedere la sua azienda fallire, nelle mani dei figli incompetenti e gelosi; Ernst, reietto dai suoi concittadini che gli hanno rifiutare il progetto di un museo per ospitare la sua preziosissima collezione di dipinti, si schianta con il suo aereo contro la Lorely Rock; Hermann riesce a mantenere saldo il suo amore con Clarissa, nonostante una provvisoria separazione e il sopraggiungere in lei di una forma tumorale. Ma è la figlia Lulù-Simona il fulcro finale dell’opera; sul suo volto (e su una sua lacrima) si chiude, dopo il capodanno del 2000, HEIMAT 3: vedova, con il migliore amico malato di AIDS, si ritrova ad affrontare il futuro “senza amore, senza lavoro, senza prospettive, senza protezione”. Ma il suo piccolo Lukas sembra avere, al pianoforte, il tocco di nonno Hermann… |
|
ezio leoni - Il Mattino Padova 5 settembre 2003 |