Già
l’anno scorso ci eravamo posti la domanda “cinema: veicolo culturale o
spettacolo di evasione?”. In questo secondo ciclo la provocazione
linguistica viene ribadita con tre film che parlano esplicitamente di
spettacolo ed altrettanto esplicitamente parlano di evasione. Sì perché lo
spettacolo (cinematografico, teatrale, musicale) è di per sé “evasione”,
ma nella fiction cinematografica il tocco “leggero” del divertimento sul
palcoscenico può diventare occasione per una fuga “pesante” dalla propria
cella.
Che questa sia un’evasione in piena regola o l’opportunità di affrancarsi
e far carriera è un’idea narrativa affidata alla complessità delle
situazioni, alla creatività della scrittura. Jake (John Belushi) che con
la sua band canta
Jailhouse
Rock è
un’immagine di consolatoria ironia, per lui e per i suoi amici, finiti in
galera a conclusione delle peripezie musicali e automobilistiche di
The Blues
Brothers,
ma ci sono prospettive più entusiasmanti (per i detenuti, non certo per le
istituzioni) sbirciando tra le storie più recenti di cinema & carcere.
Ecco allora due titoli che, con diverso registro stilistico, hanno preso
spunto da un’attività di educazione teatrale in ambito penitenziario per
costruire un articolato piano di fuga. Con
Breaking
Out
e
Lucky Break
il gioco narrativo diventa allora quello di offrire a dei carcerati, senza
volerlo, non solo l’opportunità di evadere con lo spirito, ma anche, per
circostanze fortuite, dal loro ambito di reclusione. L’occasione fa
l’uomo… critico verso ciò che può e che deve fare. E la riflessione
funziona, al cinema, sia che si tratti di un piccolo film d’impegno
sociale, sia che la verve della commedia sorridente prenda il sopravvento.
Nel primo infatti lo svedese Daniel Lind Lagerlöf, lavora più sul tessuto
civile, dà spazio alle aspettative umanitarie dell’operatore sociale che
si dedica al progetto; esterna le contraddizioni, le crisi di lealtà di un
gruppo di “prigionieri” che già nelle prove dello spettacolo respirano
l’aria della libertà, ma che sono invogliati ad approfittarne oltre il
lecito.
Nel secondo
Peter Cattaneo gioca più sulla commedia divertente,
porta lo spettacolo all’interno del carcere, fa coincidere lo spazio/tempo
della rappresentazione con quello della fuga, non rinuncia a mettere in
scena, col sorriso, responsabilità e ripensamenti.
In
Chicago,
invece, siamo nel realismo magico del musical americano: la bellezza
dirompente di due ballerine-assassine (Velma/Catherine Zeta-Jones e Roxie/Renée
Zellweger) e l’astuzia del loro avvocato (Richard Gere) fanno esplodere
sullo schermo il fascino, tutto hollywoodiano, del varietà scintillante di
musica e danze: il successo è il giusto modo cinematografico per trovare
una via di scampo dalla cella, dall’accusa, dalla condanna.
In tutti e tre i casi la voglia di spettacolo si mescola, con “morale”
simpatia, con la voglia di fuga: se per i protagonisti non tutte le porte
necessariamente si schiudono, gli spazi di divertimento & cultura che si
aprono, sullo schermo, sono piacevolmente reali. Se non è evasione questa,
almeno per il pubblico… |