Una famiglia alla deriva sulla zattera di Hollywood
"io credo che se Charlie mi avesse davvero amato non mi avrebbe mai concesso il divorzio"

   «Ti voglio bene, Billy» - «Anch'io mamma, tanto» - «Sogni d'oro, buonanotte...». Ancora qualche parola, qualche sguardo per cementare i ricordi e Joanna, bionda madre col volto umano di Meryl Streep1, lascia il suo Billy (6 anni circa, come quelli del protagonista Justin Henry), esce dalla cameretta celeste costellata di nuvole dipinte a mano e si affaccenda con costernata decisione tra vestiti e valigia. Quando Ted, che ha l'anda simpatica e sbadata di Dustin Hoffman2, torna alfine a casa (immancabile ritardo di lavoro! ) la decisione di Joanna è già irrevocabile. Non la tocca l'ironia tinta di saggezza delle scuse del marito «mi dispiace che ho fatto tardi, ero preso dal guadagnarmi da vivere...» e non l'incoraggia certo il fatto che egli cerchi di trattenerla, anche quasi violentemente, con l'egoistico sproloquiare dell'essenzialità del legame familiare: il tasso di premurosa disattenzione, di amorosa superficialità di Ted le è ormai insopportabile. «Non farmi tornare dentro» lo implora dapprima, «c'è anche che non ti amo più» è il congedo con cui poi taglia corto mentre la porta dell'ascensore li separa definitivamente.

L'altra faccia del «e vissero felici e contenti...» made in Hollywood

La favola del matrimonio USA si è infranta in Kramer contro Kramer (Robert Benton3, 1979) ancora una volta. Triste storia dell'happy end delle love-story hollywoodiane! Già smentito con lucida amarezza dal Richard Brooks nel 69 (The happy ending, inedito in Italia) il lieto fine si é adombrato via via di sconvolgenti rivelazioni extra-familiari (Non tomo a casa stasera / Francis Ford Coppola, 69), di turbamenti psico-erotici (Conoscenza carnale - Mike Nichols, 70), di intellettualismi matriarcali (Tre donne - Robert Altman, 77) per rivelare l'oscurità da pessimismo matrimoniale che da anni avvolge la cultura americana.
Il bisturi di Cassavetes ha inciso con fermezza sul cancro profondo della famiglia (Una moglie 1974) come istituzione socializzata e non socializzante, a dispetto dell'amore, più o meno conscio, più o meno fecondo (di personalizzazione, non solo di prole). Woody Allen da Io e Annie (77) a Manhattan (79) ha sorriso sulle maxi-insicurezze della solitudine e sulle pluri-insoddisfazioni da legame di coppia, forzando addirittura la propria vena cabarettistica verso i lidi ansiosi di Interiors (78) per rispondere alla meticolosa struttura analitico-introspettiva del cinema europeo di Bergman ed Antonioni.

Infine la soft-comedy che alita sotto la sofferta risurrezione della Erica-Jill Clayburgh di Una donna tutta sola (77) ha dato comunicatività e successo al film di Mazursky e rilievo di massa alla magmatica consistenza del "pianeta donna". L'opera del regista newyorkese ha definito, nel bene e nel male, i suoi caratteri artistici, la sua pacata melodia d'esseri e di ambienti4, in professionalissimo equilibrio, tra l'ovattata cromaticità filmica e le continue pungolature contenutistiche, sornionamente drammaticizzate (o addolcite) con la padronanza-stilistica dell'hollywood-system.
La rivelazione di Una donna tutta sola non é stata solo nella personalità autoriale del buon Mazursky, (Harry e Tonto - 73 e Stop a Greenwich Village - 75 erano già garanzie qualitative sufficienti), ma nella concretizzazione visiva di una condizione umana, metropolita e non, che nella. Discriminazione maschio-femmina troppo spesso continua ad illogicizzare (a scapito della donna, s'intende! ) situazioni ed argomenti di lapidaria ovvietà, col frusto alibi dell'annebbiamento (di comodo o di tradizione) derivante dalla non ancora obsoleta parzialità del vivere "misto".
Il concetto di parità, di paritarismo se si vuole (alla faccia di qualsiasi campanilismo, femminile o maschile), Marzursky lo proponeva certamente stereotipato nell'inquadramento sociale del vivere yankee (reale e cinematografico), con la donna emancipata ma sottomessa, soddisfatta perché appagata (di posizione borghese, di convivenza familiare e d'Amore) non perché realizzata; traumatizzata poi, in apparenza perché senza uomo, in fondo perché senza se stessa; serena alfine, autogestita nel connubio tra personalità e amore. .
Tutto omogeneamente sequenziale , emotivamente avvolgente, tutto però nelle regole standard di una 'civiltà "progredita" in cui il sesso fa troppo spesso da chiave di volta, il lavoro da momento costruttivo principe ed unico e dove amore, matrimonio, adulterio o divorzio5 si intersecano, si accavallano e si interscambiano con la fluidità spensierata di un happy continuing alquanto accattivante ed ambiguo.

Moglie o donna? Uomo o padre? Persone, coniugi o genitori?

Col suo Kramer contro Kramer Benton tenta un'analisi più sagace, pur rimanendo nella massificante alienazione del coniugium interruptum: il regista non sposa una causa, ma vive e ci fa vivere una storia intonata al tempo d'oggi, un po' melodrammatica, perfettamente orchestrata, in preziosa confezione commerciale e pur sempre contenutisticamente vibrante, maxi-veicolo hollywoodiano che non perde di vista l'argomentazione pluralistica e la stimolazione al dibattito.
Dopo che Joanna se ne è andata, dopo che la sua angoscia esistenziale si è fatta nostra, il registro filmico passa al maschile e l'obiettivo si posa con la stessa sofferta umanità sull'affaccendarsi di Ted che, abitudinariamente uomo d'affari impegnatissimo, deve improvvisarsi padre tuttofare, visto che ora "papà deve portare a casa il becchime... e anche cucinarlo".

L'essenza della disputa dei Kramer non è ne loro bisogno d'amore di coppia, né é solo la ricerca di realizzazione umana della frustrata Joanna o la revisione della no-stop working life di Ted, bensì il loro confrontarsi in contingente realismo con i loro ruoli di genitori, con il loro inderogabile rapporto familiare che, al di là dell'intima intesa moglie-marito, si sviluppa complementariamente nella dimensione filiale.
Il perno è il piccolo Billy il quale, spiazzato per l'improvvisa mancanza della presenza materna, chiede allo sprovveduto genitore la sua abituale merenda mattutina ("i toast alla francese interi o a pezzi hanno lo stesso sapore" sbotta papà cuoco), le attenzioni, in quantità e modo, che riceveva dalla mamma e un colloquio d'amore che si concretizzi in qualcosa di più che in un brusco "tu calmati, va tutto bene", nell'essere accompagnato a scuola o 'ritirato' dopo le feste a casa degli amici (in entrambi i casi in ritardo!), o nel fare colazione l'uno accanto all'altro, in silenzio, ognuno col proprio giornale in mano. Ted lo capisce e si sforza nel rinnovarsi, Hoffmann col suo macchiettismo recitativo sa rendere esaurientemente l'evoluzione ed un po' alla volta l'apertura reciproca prende corposità gestuale e verbale, oltre che interiore. E quando Billy, piangente, esterna i suoi sensi di colpa per la fuga della madre ("per questo la mamma se ne è andata, perché sono cattivo?"), il padre ha ormai la coscienza delle proprie responsabilità e la confidenza necessaria per una toccante confessione: "... ho continuato a cercare di fare di lei un certo genere di persona, di moglie; quella che secondo me avrebbe dovuto essere... e lei invece era proprio il contrario di così... lei per tanto tempo ha cercato di farmi felice e quando si è accolta che non riusciva ed ha cercato di dirmelo, io ero troppo occupato a pensare a me stesso .... io credo che la mamma fosse molto triste... non reggeva più me. Non se ne è andata per colpa tua, se ne è andata per colpa mia". Quando egli esce dalla camera Billy lo rincuora con lo stesso calore che Joanna riversava su di lui ("sogni d'oro, non farti mordere dalle pulcette"), ma se il figlio gli da la soddisfazione della riuscita intesa affettiva c'è anche il fatto però che la sua articolata maturazione di padre ha in parte minato «l'irresistibile ascesa di mr. Kramer», invischiandolo in uno scadimento professionale, nella ridotta efficacia competitiva di chi ha nel cuore e nel taccuino non solo il lavoro ma anche l'essenza globale della vita. E poi ci sono le riunioni scolastiche coi genitori, le prime pedalate in bicicletta, i giochi ai giardini pubblici e, ahimè, gli incidenti imprevisti e dolorosi come quello che fa battere il capo al piccolo Billy costringendo Ted ad una disperata corsa all'ospedale.
Inutile dire che i punti che il medico deve applicare non solo chiudono la ferita, ma consolidano maggiormente l'unione padre-figlio, per cui quando Joanna riappare (dopo diciotto mesi) con la volontà di riprendersi il bambino, Ted dà in escandescenze e la nostra partecipazione emotiva spalleggia senza esitazione la sua decisione di battersi in tribunale per l'affidamento, il suo affannarsi per trovare un nuovo impiego (lo hanno 'sollevato' dal precedente incarico per il calo di rendimento), il suo muto soffrire nel dover lasciare per Un pomeriggio Billy alla madre, nel vederlo correre felice tra le braccia dell'ex-signora Kramer.

La giustizia del tribunale, la giustizia del cuore,
le lacrime hollywoodiane...
Un altro happy end consolatorio?

Quando però ci ritroviamo tutti, spettatori e parti in causa, nell'aula del tribunale, la situazione emotiva si complica, la classificazione del 'buono' e del 'cattivo' perde significato e il nostro identificarsi col personaggio si fa confuso ed altalenante.
Dapprima è al banco Joanna. Il suo «j'accuse» è limpido, sconcertante, doverosamente degno d'assoluzione6: "ero ridotta ad un fascio di nervi dall'incomunicabilità con mio marito, non riuscivo ad essere neppure una buona madre. Ho sofferto a lasciare Billy, gli voglio bene, ma dovevo ritrovare me stessa per poter essere utile al mio bambino". L'avvocato del marito la incalza con ferrea consequenzialità giuridica sulla sua incapacità di costruire un rapporto duraturo, in futuro come in passato, ma mentre la costringe ad affermare, con gli occhi umidi, di essere stata «un fallimento come moglie», persino Ted fa cenno di 'no' con la testa.
Quando é poi il suo turno, la deposizione é meno lucida, più appassionata ed istintiva: "cos'è che fa un buon genitore?" - domanda angosciato a se stesso e a chi lo ascolta - "perché una donna deve essere più adatta a crescere un figlio di un uomo? "
L'avvocato di Joanna é ancora più duro del suo collega però. Sfrutta con implacabilità alcune frasi di Ted e fa addirittura apparire come colpa oggettiva l'amorevole senso di colpia che egli aveva provato come genitore al momento dell'incidente di Billy.
É la cruda dicotomia situazioni umane-situazioni legali in cui «emergono l'insopportabilità e addirittura l'indecenza di una verifica in termini di legge di ciò che forma la trama impalpabile della vita affettiva» (Kezich) così che l'episodio della disputa giudiziaria costituisce il momento più vibrante, di riflessione e di critica, di Kramer contro Kramer (il titolo, meglio ancora nell'originale Kramer versus Kramer, si riferisce appunto alla formula legale) che altrove invece si stempera nella carica di commozione che i drammi affettivo-familiari provocano nella grande platea.
Il finale è tutto palpitante di magico potere empatico: Ted perde la causa, Billy (davvero spontaneo l'esordiente Justin Henry) tra le lacrime lo consola "se ti senti solo mi telefoni papà?", l'ultima colazione insieme, giocata sul 'remake' ormai collaudato della preparazione dei toast alla francese (da non perdersi la 'distaccata' partecipazione del bambino e l'occhiata mista di orgoglio e tristezza del padre), urla nel silenzio dei gesti il sofferto addio all'idillio comune.
Arriva alfine la fatidica data. Nel mutismo generale il cumulo di giocattoli attende in ingresso l'arrivo della madre... Ma la provvidenza hollywoodiana ha ancora una dolce sorpresa nel cassetto: Joanna non trova il coraggio di proibirci 1'«happy end» (?) consolatorio, la sua sensibilità umana é più forte del suo diritto civile, i suoi occhi arrossati sono ancora più gonfi di pianto di quelli di Billy e la sua decisione personale si avvale di una forza d'animo temprata da insolita riflessività. In tribunale Ted, da padre accorato, le aveva raccomandato, riferendosi al trauma affettivo del bambino, "non farglielo per una seconda volta". Ora, mentre di nuovo la porta dell'ascensore s'interpone tra i loro sguardi, le parole di Joanna sono quelle di una madre col cuore in gola: "Io gli voglio bene, tanto. Non lo porto via con me".

La sensibilità professionale di Benton e il sottile monito di Margaret.

Anche se la svolta conclusiva sa di accondiscendente tributo al pubblico dall'animo tenero non si può trovare in questa scelta del soggetto un cedimento di coerenza nel discorso di Benton. Anzi questo finale che «accontenta» induce maggiormente alla riflessione proprio perché ugualmente lascia la bocca amara. Kramer contro Kramer porta avanti fino in fondo il motivo dell'alternanza di partecipazione emotiva dello spettatore verso i due Kramer del titolo. Tutta la struttura stilistica che il regista imbastisce enfatizza questa continua contrapposizione di opinioni e sentimenti. Il ritmo calibrato del montaggio di Jerry Greensberg, la plastica compartecipazione degli interni fotografati col gusto pittorico di Nestor Almendros7, l'impeccabilità interpretativa di tutto il cast (anche se la figura di Ted appare fin troppo occhieggiante8), il morbido contrappunto musicale dei brani di Purcell e Vivaldi, la castrazione dei virtuosismi nei movimenti di macchina e l'impatto sapiente dei primi piani ribadiscono nel ricamo formale una rarefazione di artifici tecnici e di contorsionismi narrativi che avvolge l'opera di una credibilità (non di un 'realismo' si badi bene) puntellata sulla qualità estrinseca e sulla profonda apertura dialettica degli atteggiamenti e delle tematiche.
Non c'è un 'giusto' e un 'ingiusto' nel possibilismo degli avvenimenti, c'è semmai una discrepanza di fondo che mentre mette Ted contro Joanna, maschio contro femmina, mette pure noi stessi contro noi stessi nel tifare ora per l'uno ora per l'altra. L'unico beniamino che resta in palma di mano é l'indimenticabile Billy che partecipa agli eventi senza voce decisionale, ma con il sussurro ammonitore di un'infanzia che, nel cinema come nella vita, viene troppe volte dimenticata, fraintesa, manipolata, sballottata, edulcorata.
Robert Benton non ha la purezza artistica di Truffaut (la direzione del film inizialmente doveva essere affidata proprio al regista francese e Benton doveva esserne soltanto lo sceneggiatore), ma cerca di percepirne la sensibilità e di ammantare con essa la propria grammatica cinematografica prettamente americana. A ben guardare sulla imparziale non-risoluzione della ridda di questioni sollevate egli ha una debolezza significativa nell'amorosa caratterizzazione con cui tratteggia il personaggio di Margaret (Jane Alexandre- volto espressivo, recitazione senza sbavature, da elogiare tout-court), l'amica di famiglia. Femminista 'sobillatrice' nell'iniziale fuga di Joanna, ella si rivela poi confidente sensibile anche del marito, e partecipa alla dissociazione della famiglia Kramer con l'esperienza e il dolore del proprio legame fallito; si apre a Ted nei propri rimpianti per il coniuge lontano, lo spalleggia in tribunale fino a farsi redarguire dal giudice, è raggiante quando ha il coraggio di tentare la ricostruzione del proprio matrimonio. Si appoggia sconsolata, nel finale, sull'uscio di casa Kramer, conscia probabilmente non solo dell'angoscia di Ted, ma soprattutto della tragedia di Billy che in un modo o nell'altro avrà un trauma in più o in meno, un affetto più o meno positivamente educativo, ma mai la sicurezza, l'amore completo di due genitori e di una famiglia unita.

e.l. CM 38 - secondo trimestre 1980

  

filmografia di
Robert Benton
(Maxahachie, Texas - 1933)

1971 Cattive compagnie
1977 L'occhio privato
1979
Kramer contro Kramer

1982 Una lama nel buio
1984 Le stagioni del cuore
1987 Nadine - Un amore a prova di proiettile
1991 Billy Bagate - A scuola di gangster
1994 La vita a modo mio
1997 Twilight
2003 La macchia umana

 

NOTE

[1] Filmografia di Meryl Streep:

partecipazione al cast televisivo di Olocausto
Il Padrino (71)
Il Padrino II (74)
The Deadliest Season (77)
Julia (77)
Il cacciatore (78)
Kramer contro Kramer (79).
Manhattan (79)
The Seduction of Joe Tynam (79)
...

[2] Filmografia di Dustin Hoffman:

Il laureato (67)
The Tiger Makes Out (67)
Madigan's Millions (67)
John and Marv (69)
Un uomo da marciapiede (68)
Il piccolo grande uomo (70)
Cane di paglia (71)
Chi è Harry Kallerman e perché parla male di me? (70)
Alfredo, Alfredo (72 )
Papillon (73)
Lenny (74)
Tutti gli uomini del presidente (75)
Il maratoneta (76)
Vigilato speciale (77)
Il segreto di Agatha Christie (78)
Kramer contro Kramer (79)
...

[3] Robert Benton (Maxahachie, Texas - 1933) parte con il giornalismo e si afferma come sceneggiatore: nascono i copioni di film quali Gangster Story (67), Uomini e cobra (70), Ma papà ti manda sola? (72) e Superman (78). Come regista ha esordito nel 71 con Bad Company (per ora inedito in Italia), un western atipico nelle cui sconfinate praterie giallo-marrone, più solitarie che ospitali, giovani anti-eroi vagabondano inesperti, costretti dalle circostanze alla precaria esistenza dei fuorilegge. La sua opera seconda (L'occhio privato, 77 - prodotto da Robert Altman) è una chicca per i cultori di cinema: ci troviamo di fronte ad una curata rivisitazione dell'«hard-boiled novel» nell'ironica canizie di Ira Wells (Art Carney), 'impuro' detective chandleriano, che, pieno di ricordi e di acciacchi, sa districarsi comunque, con sprizzante intraprendenza, tra la sua ulcera, gli omicidi a catena che lo circondano e la raffica di citazioni cinefile con cui Benton cesella l'insieme. Si arriva così a questo Kramer contro Kramer (79), tratto dal romanzo omonimo di Avery Corman (pubblicazione italiana - Sonzogno): due anni e mezzo di lavorazione, un costo di sei milioni di dollari, campione di incassi USA, premio della critica di New York e Los Angeles, cinque oscar, quattro globi d'oro... e da oggi una recensione in più.

[4] Soggetto e sceneggiatura di Paul Mazursky, fotografia di Arthur Ornitz, musica di Bill Conti
(durata: 1h 44')

[5] Al riguardo, riprendendo il discorso del pessimismo americano sul matrimonio, credo vadano necessariamente citati la bizzarra omelia matrimoniale di Piccoli omicidi (Alan Arkin, 71) e l'amarissimo sorriso che chiude la vicenda di Boon e Katy in un film comico come Animal House (John Landis, 78): sul gioioso abbraccio della coppia, sull'entusiasmo del loro amore la regia sovrascrive un'emblematica didascalia: "Boon e Katy, sposati nel 64, divorziati nel 69".

[6] "...E poi c'è stato il contributo fondamentale dell'attrice, Meryl Streep. La sua deposizione al processo per riavere la custodia del figlio l'avevo scritta interamente io e solo al momento di girare la scena, rileggendo il copione, mi sono reso conto che aveva la forma e le parole che un uomo, in quanto tale un po' prevenuto, non poteva non darle. Allora ho chiesto a Meryl di riscriversi tutto come l'avrebbe voluto dite lei, salvo consegnarmelo in tempo perché io lo rimettessi in ordine. La mattina in cui si doveva girare la scena, la Streep si è presentata con un foglio scritto a mano che non mi aveva sottoposto: io ero nervoso, pensavo che si sarebbe perso un giorno di riprese inutili, perché non poteva essere che andava bene senza la mia supervisione. E invece era perfetto. Mia moglie, quando ha visto la scena in proiezione, piangeva...".

Intervista a Robert Benton di Anna Maria Mori - La Repubblica / 22 febbraio 1979

[7]Tra i film che si avvalgono della direzione fotografica di Nestor Almendros vanno ricordati almeno: Adele H. (F. Truffaut - 75), La marchesa von... (E. Rohmer - 77), I giorni del cielo (T. Malick - 78)

[8] La scelta di Hoffman, la cui personalità come attore é inquadrata ormai da tempo (vedasi la filmografia) in ruoli 'di timido, affettivamente o socialmente ipersensibile, appare una concessione troppo indulgente all'occhio tradizionalista del grosso pubblico che accetta la disponibilità al cambiamento umano di Ted quasi come un'inclinazione spontanea del personaggio di Hoffman. L'impatto avrebbe potuto essere forse più costruttivamente anticonformista e stimolante se si fosse scelto un attore più classicamente 'maschio holliwoodiano' e quindi più faticosamente digeribile nella tua traumatica evoluzione.