Al
confine tra Italia e Slovenia, dove il verde della vegetazione incontra il
grigio delle strade sterrate, «el vin xè la salute, l’acqua xè il funeral»
e Paolo Bressan pare deciso a campare in eterno rompendo l’anima al
prossimo. Affogando la sua miserabile esistenza nel rosso del bicchiere
sempre pieno, dileggiando i concittadini impegnati nelle prove del coro,
gettando pietre contro la casa del datore di lavoro. Finché la sua routine
alcolica, inconcludente e urticante viene interrotta da un’eredità:
l’ignota zia Anja residente in Slovenia è venuta a mancare, lasciandogli
un nipote adolescente che parla l’italiano come un testo stampato cent’anni
fa e gioca a freccette come un robot infallibile. |
Chiara Bruno - FilmTV |
Friuli Venezia Giulia, provincia alcoolica. C'è chi (Giuseppe Battiston, bigger than life) sbevazza, s'abbuffa e lascia nel piatto l'amore e la fuga: forse, è il bifolco del villaggio, comunque gli ridono dietro. Ma muore una parente slovena e in eredità gli tocca Zoran (Rok Prasnikar, sensibile), il nipote scemo, tutto occhiali, ritrosia e freccette. A centrare il bersaglio è l'esordiente Matteo Oleotto, che nel fondo del bicchiere legge una nuova via per il nostro cinema: ironia e amarezza, affresco sociogeografico e ritratto psicologico, tutto è a fuoco, come alle italiche commedie capita raramente. Merito forse del gemellaggio poetico con la Slovenia, fatto sta che il film si scaraffa sullo schermo come buon vino da tavola, al bando le etichette autoriali e le adulterazioni commerciali. Tutto bene? Quasi, macchiettismo e buonismo sono alle porte, ma Oleotto si farà, e intanto ci ha già fatto sorridere. Dopo troppo province meccaniche, finalmente una provincia umana. |
Federico Pontiggia, - Il Fatto Quotidiano |
Per quasi un secolo il territorio di Gorizia ha assistito a frizioni e scontri tra italiani e sloveni. La città divisa in due dal confine paragonata a Berlino tra rancori e risentimenti mai sopiti. Ora anche la Slovenia fa parte dell'Unione europea, il confine è solo un ricordo. Tutto tranquillo, se non ci fosse Paolo Bressan. Paolo si presenta come un alcolista corpulento, con un passato da sciupafemmine che gli è costato l'essere mollato dalla moglie, un presente in cui sembra intento a sciupare se stesso, e un futuro che sembra già sciupato dal passato. Lavora, si fa per dire, presso la mensa di un centro per anziani, il suo chiodo fisso è l'improbabile riconquista della moglie, il suo incubo i vigili che lo puntano ogni sera perché sanno che guida ubriaco. Una speranza si accende quando una zia, slovena e praticamente sconosciuta, muore e a lui spetta un'eredità. Non sono soldi è Zoran, una ragazzotto con occhiali enormi che parla un italiano arcaico, imparato da tre vecchi libri. (...) Va subito detto che il racconto è spensierato, da canzone da osteria che magnifica le sorti del vino e rende funebri quelle dell'acqua. Del resto è l'osteria il palcoscenico prediletto da Paolo. E qui però cominciano le difficoltà perché il nostro eroe è un autentico cialtrone, profittatore e anche antipatico, una sorta di italiano medio all'Alberto Sordi con accento veneto e sbronza molesta. E anche l'entusiasmo alcolico rischia di essere arma a doppio taglio, e alla lunga si rischiano solo i postumi. Così si sorride in diverse occasioni di fronte a Zoran, ma la commedia sembra viaggiare con il freno a mano tirato per un protagonista triste e infelice contrapposto a una macchietta in salsa slava. Matteo Oleotto ci si è messo d'impegno per questa sua opera prima realizzata nelle terre natie dove è tornato dopo parentesi di studi di cinema romani. Lui stesso afferma di essere rientrato per occuparsi delle vigne di famiglia. Ma, come si dice, aveva fatto i conti senza l'oste perché il sacro furore dell'arte lo ha spinto a realizzare il suo film. |
Antonello Catacchio - Il Manifesto |
Ecco il film-simpatia dell'ultima Mostra di Venezia, l'opera prima di Matteo Oleotto, diplomato al centro sperimentale ma con uno straordinario curriculum alle spalle (telefonista in un call-center, bagnino, operaio, arbitro di basket, portiere d'albergo e svariati altri mestieri). Un giovane che conosce il mondo e ce ne racconta una fetta inusitata, la storia di una parentela inaspettata che si svolge - anche metaforicamente - a cavallo del confine tra Friuli e Slovenia. (...) Zoran è una commedia malinconica il cui unico difetto è la lunghezza: una struttura più asciutta (ma capiamo che l'aggettivo è inadeguato) avrebbe giovato. Giuseppe Battiston, finalmente protagonista, è debordante e bravissimo. Il giovane Rok Prasnikar è altrettanto strepitoso. |
Alberto Crespi - L'Unità |
promo |
Il quarantenne Paolo è un ex giocatore di rugby che vive a Gorizia: lavora come cuoco nella mensa di un ospizio per anziani, trascorre le giornate all'osteria di Gustino e perseguita in maniera infantile l'ex moglie. Le sue abitudini vengono rotte quando nella sua vita si presenta Zoran, uno strano nipote sedicenne che non sapeva di avere. Essendo l'unica persona che può prendersi cura di Zoran, Paolo dovrà ospitarlo in casa sua per sei giorni, il tempo necessario affinché i servizi sociali gli trovino una sistemazione in una casa famiglia. Scoprendo che Zoran è un fenomeno a lanciare freccette, Paolo decide di sfruttare la dote del nipote per prendersi una rivincita agli occhi del mondo... Macchiettismo e buonismo sono alle porte, ma il panorama - boschivo e umano - su cui il regista posa lo sguardo è testimone di una profonda, commovente comprensione. Una commedia malinconica, naif e "alcoolica", interpretata con accattivante spontaneità (un "grande" Battiston sprezzante del mondo e delle sue consuetudini). Il film-simpatia dell'ultima Mostra di Venezia. |
LUX - dicembre 2013 |